Corriere della Sera

Mariotti: «Debutto alla Filarmonic­a ma vorrei conoscere Capossela»

- Giuseppina Manin

Isuoi primi 40 anni li ha festeggiat­i qualche giorno fa a modo suo, dove più gli piace, con quello che più gli piace: «In teatro, a fare musica» svela Michele Mariotti. Il teatro è la Scala, la musica quella de I Masnadieri di Verdi, che lui dirigerà nella nuova produzione di David Mcvicar dal 18 giugno. Titolo molto atteso, anche perché al Piermarini I Masnadieri non si vedono dal 1978, quando sul podio salì un 25enne di nome Riccardo Chailly.

E adesso tocca a Mariotti, numero uno tra i direttori d’orchestra italiani della sua generazion­e, ricreare gli incanti di quel Verdi giovane e passionale. «Un’opera dove ogni nota è importante, ogni aria magnifica. Una musica scura, una storia torbida, morti violente, fratelli che si odiano, figli contro i padri. Insomma, una famiglia molto attuale» sorride il maestro, aggiungend­o che in quel nido di vipere l’unica presenza positiva è una donna, Amelia. «Un raggio di luce nelle tenebre, la sola che ama davvero, Sul podio Michele Mariotti, 40 anni: il 18 giugno sarà alla Scala che giura al suo Carlo: “In Paradiso o in Inferno ti seguirò sempre”».

A luglio seguirà i Masnadieri in Finlandia, ma prima, sempre alla Scala, avrà un altro debutto, lunedì prossimo alla Filarmonic­a: dirigerà la Seconda Sinfonia di Ives e il Concerto per pianoforte n.3 di Beethoven.

I 40 anni segnano un momento chiave della sua vita artistica. Chiuso il rapporto stabile con il Comunale di Bologna, «Undici anni bellissimi, tutti in crescendo», Mariotti ha preso il volo come direttore ospite di importanti ribalte europee. A Parigi, dove ha già diretto Don Pasquale e Les Huguenots, tornerà con una nuova Traviata, a Vienna con Guillaume Tell e Il ballo in maschera, a Roma con Idomeneo. Ma l’appuntamen­to più emozionant­e sarà in agosto a Pesaro, dove aprirà il 4° Rossini Opera Festival

con Semiramide, regia di Graham Vick. Un ritorno a casa, visto che Pesaro è la sua città e il festival è «di famiglia», ideato e diretto per 38 anni da suo padre Gianfranco. «Io e il Rof abbiamo la stessa età. Fin da piccolo seguivo tutte le prove, ricordo il primo Viaggio a Reims, le direzioni di Abbado, Gatti, Chailly».

Soprattutt­o non può scordare un’altra Semiramide, nel ’92. «Avevo 13 anni, mia madre stava morendo. Un’estate terribile, tutti i pomeriggi mi rifugiavo in teatro per sfuggire l’atmosfera di morte che incombeva in casa. Quella musica per me è associata a momenti di dolore ma anche di sollievo. Dirigerla ora in quella stessa sala sarà una grande emozione. Non penserò alla morte ma alla vita. La musica dà sfogo alla sofferenza, sia che la fai sia che l’ascolti. Io ascolto molto: jazz, Conte, De André, Vasco... Capossela, vorrei conoscerlo. Quando è bella ogni musica ha pari dignità. Sono fortunato a fare questo mestiere».

Non era scontato. «Mio padre ha cercato di dissuaderm­i. Essere il figlio del sovrintend­ente è più uno svantaggio che un vantaggio. Hai tutti i fucili puntati. Per un po’ ho provato a resistere, ho fatto il liceo. Ho giocato a basket... Bravo ma basso. Appena potevo però scappavo in teatro, fabbricavo bacchette da direttore, le limavo con la carta vetrata, un tappo come pomello. I miei amici andavano al mare o a caccia di ragazze, per me la cosa più inebriante era annusare l’odore del velluto dei palchi. Mi prendevano in giro. Finché a 17 anni non ce l’ho fatta più: papà, voglio fare il musicista! Ha ceduto. Ho iniziato tardi, ma ho recuperato in fretta. Sul podio si può arrivare in fretta, ma poi bisogna saper restare».

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