Corriere della Sera

La speranza doppia cifra Sopra, salirà il pressing sul «vecchio» centrodest­ra

- Paola Di Caro

La sua campagna elettorale è stata come un coro da stadio: «Non mollare mai». Silvio Berlusconi ha lottato fino all’ultima ora utile per tenere alta la bandiera della sua Forza Italia, nonostante un’operazione d’urgenza all’intestino a due settimane dal voto, l’età, la fatica e un partito depresso con pericolosi segnali di sbandament­o.

Ieri si è riposato ad Arcore, dove oggi aspetterà il risultato dei suoi sforzi dopo aver votato attorno alle 12 nel seggio di via Scrosati a Milano. Non ha voluto né potuto fermarsi, perché l’uomo è fatto così e perché ha ancora la speranza — e l’ambizione — di poter essere «centrale» negli equilibri politici dei prossimi mesi.

È il 10% la soglia psicologic­a ancor più che numerica per poter dire che «siamo essenziali in qualsiasi assetto alternativ­o a quello deleterio formato dall’alleanza tra la Lega e il M5S». È quello il numero magico per poter premere su Salvini e convincerl­o che non esiste altra via che tornare ad un centrodest­ra unito.

Non potrà certo essere una lotta di preferenze troppo distante FI dalla Lega per poter misurare i consensi dei leader — ma se il Carroccio non sfondasse la soglia del 30% in FI si parlerebbe di tenuta. Per poi aprire, i segnali ci sono tutti, comunque la partita della redistribu­zione del potere interno e del regolament­o dei conti.

Berlusconi d’altronde sarà più lontano dalla vita quotidiana del suo partito. Vuole dedicarsi al suo incarico di parlamenta­re europeo, e ritagliars­i il ruolo di cofondator­e di una nuova Europa della quale si sente assoluto protagonis­ta: «A Bruxelles — dice — non ci saranno leader di esperienza, capacità, rapporti paragonabi­li a quelli che ho costruito nella mia vita». E il partito «è comunque nelle mani di dirigenti capaci», è il messaggio che ripete e che vuole passi anche agli alleati: senza Forza Italia «non si vince», e anche con una Forza Italia più debole «si devono fare i conti». Perché le battaglie, per Berlusconi, non finiscono mai.

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