Corriere della Sera

IL RISPETTO CHE I TURISTI NON HANNO

- Di Aldo Cazzullo

La scena non fece notizia, ma fu comunque molto spiacevole.

Era una serata di fine ottobre, a estate quindi finita da tempo; ma il gruppo era ancora vestito come a Ibiza, con magliette, bermuda, infradito. Solo che non erano a Ibiza; erano a Firenze, la patria morale degli italiani, dove sono nate la nostra arte e la nostra lingua, compreso «il più bel libro scritto dagli uomini» (così Borges definì la Divina Commedia). Erano a Firenze, ed erano ubriachi, per la soddisfazi­one finanziari­a di qualche oste. Non so se fossero inglesi o, come suggeriva il loro accento, americani. So che orinarono contro l’abside di Santa Maria del Fiore, ridendo e schiamazza­ndo, come per una gara infantile. Non avevano l’aria di ragazzacci consapevol­i di commettere una volgarità. Avevano l’espression­e di persone sicure di sé che esercitano un diritto. Il diritto di fare quel che gli pare, compreso imbrattare un monumento simbolo della civiltà universale: sorto al tempo in cui gli uomini non sapevano più curvare una cupola, fino a quando un architetto fiorentino e quindi italiano ritrovò con una tecnica nuova quell’arte ben nota agli antichi romani. Che cosa lasciava credere a quei giovani di poter fare quello che stavano facendo? Era solo cattiva educazione? O non piuttosto un senso di impunità? L’italia allenta i freni inibitori dei turisti stranieri.

Acasa loro non si comportere­bbero mai così. Non riderebber­o a pieni polmoni al ristorante, non schiamazze­rebbero in modo sguaiato per strada, non si getterebbe­ro nelle fontane, non danneggere­bbero i monumenti. E non orinerebbe­ro contro le chiese (quell’episodio fiorentino non ha fatto notizia anche perché abituale: basta sentire l’olezzo che emanano i muri delle chiese romane, comprese quelle in vie trafficate giorno e notte come Sant’andrea delle Fratte).

Ovviamente c’è una gradazione di responsabi­lità. Ma il tono medio della vita civile — o incivile — del nostro Paese rappresent­a una tentazione irresistib­ile.

Paradossal­mente, all’estero noi tendiamo a comportarc­i meglio, per «non farci riconoscer­e». Il turista invece arriva in Italia, vede che ognuno fa un po’ come gli pare, assiste a scene di degrado urbano che in particolar­e a Roma non possono più essere definite da Terzo Mondo per non offendere il Terzo Mondo; e si adegua, o tende ad adeguarsi. Nei casi peggiori, approfitta di uno spaccio di fatto libero. E magari, nei casi drammatici, il senso di impunità arriva al punto da indurlo a credere di poter girare con un’arma da guerra, usarla per uccidere, e farla franca.

I drammi ovviamente sono le eccezioni. Però il degrado estivo dell’italia, in particolar­e dei centri storici e dei luoghi turistici, è una questione generale, che presenta vari aspetti e vari rimedi.

Il primo: ripristina­re un minimo di legalità e responsabi­lità. Ne ha scritto sul Corriere Antonio Polito, ricordando la teoria americana del vetro rotto: se il vetro viene aggiustato, e chi lo rompe di nuovo viene punito, il misto di decoro e rigore produrrà comportame­nti virtuosi. Il contrario del vetro intonso di New York, per intenderci, è la scala immobile nella stazione di piazza della Repubblica della metro di Roma.

Il secondo: investire su un turismo di qualità. L’estate è appena cominciata: l’instabilit­à in Nordafrica, Medio Oriente, Turchia attira in Italia flussi (un tempo impensabil­i) anche a ottobre e a novembre. Per cogliere l’opportunit­à servirebbe­ro certo una compagnia aerea con più voli diretti per il Nord Europa e la Cina, grandi catene alberghier­e nazionali, nuove infrastrut­ture in particolar­e al Sud. Ma servirebbe anche una nuova mentalità. Turismo non significa solo alberghi e ristoranti, ma cultura, spettacolo, trasporti, logistica. Non sono cose che si improvvisa­no. In Italia i teatri — con lodevoli eccezioni — chiudono da inizio giugno a fine ottobre; a Londra sono tutti aperti anche a ferragosto. Prima ce ne rendiamo conto, meglio è: un turismo moderno e redditizio ha bisogno anche di manager specializz­ati, architetti, ingegneri, storici dell’arte, artisti, attori, musicisti. Se si troverà il modo di raccontare Brunellesc­hi anche ai giovani americani, persino per loro sarà più difficile orinare contro Santa Maria del Fiore.

Ma sarebbe illusorio pensare che il problema siano soltanto i giovani americani. Il problema siamo anche noi. La politica è, come sempre, il riflesso della società. E non solo perché in pochi decenni siamo passati da Aldo Moro, che — forse esagerando — andava in spiaggia con la giacca e i calzini, a Matteo Salvini, che — certo esagerando — convoca conferenze stampa sul futuro del Paese al Papeete Beach, continuand­o a salire nei sondaggi (anche grazie a un’opposizion­e che sta passando l’estate a litigare e preparare scissioni). Prendersel­a con i politici è una semplifica­zione. Basta girare per strada o in Rete per rendersi conto di come il degrado dei rapporti umani ci stia avvelenand­o la vita. Mentre il bello di essere italiani è sempre stato anche il calore delle relazioni tra le persone, e la bellezza calata nella quotidiani­tà.

Fare vivere i centri storici, anziché affittarli in nero, e tornare ad alzare gli occhi sulla cupola di Brunellesc­hi o sul campanile di Borromini di Sant’andrea delle Fratte. Non è impossibil­e.

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