Così li hanno presi otto mesi dopo
Nella bomboletta spray raccolta con i guanti dall’animatore del locale isolata una traccia di Dna Poi la denuncia dell’autista
Quella notte, l’8 dicembre 2018, Gianmarco Grieco, vocalist speaker del «Lanterna azzurra clubbing» raccoglie dalla pista una bomboletta rosa di marca «Diva». Lo fa con i guanti, pensando chissà come, che possa essere importante. L’elenco dei morti e quello dei feriti è ancora in via di elaborazione: alcuni ragazzi hanno denunciato, nella confusione generale dovuta alla presenza nell’aria di una sostanza urticante, il furto di alcune collanine. La situazione è poco chiara ma lui, Grieco, è convinto di aver fatto una scoperta. Quella bomboletta finisce nel cassetto di Lorenzo Sgreccia, proprietario del club, che la consegnerà ai carabinieri del comando provinciale di Ancona. Gli specialisti del Ris la analizzano, si tratta di spray al peperoncino.
È il primo passo dell’inchiesta che porterà all’individuazione dei responsabili della tragedia, ma da solo è insufficiente. Si decide di controllare gli ultimi resoconti dei carabinieri e si scopre che il 14 ottobre, circa due mesi prima di quella notte, il nucleo Radiomobile ha fermato Akari Moez, 21 anni, della provincia di Modena che viaggiava con due suoi amici, trovato in possesso di «un sacchetto contenente sette collane di oro giallo danneggiate a seguito di strappo» risultate poi rubate durante una serata nella discoteca «Area». Mentre sono in corso le analisi sulla bomboletta, si intercettano i cellulari di Moez e Cavallari.
Ma la svolta arriva quando sul pulsante della bomboletta si trovano tracce di sudore che permettono di isolare il profilo di un Dna. Cominciano a intravedersi gli elementi che porteranno alla scoperta di una banda seriale. Un nucleo di persone dal «sistema di vita polarizzato, esclusivamente o quasi, sulla commissione di reati contro il patrimonio» per usare le parole del gip Carlo Cimini. Ma la svolta, quella che permette di cristallizzare le contestazioni, arriva in seguito, quando un uomo, Paolo Attili, intestatario di una delle schede telefoniche in uso a Moez, deposita una denuncia. Attili racconta una lunga sfilza di vessazioni, prepotenze e perfino pestaggi nei suoi confronti. L’uomo racconta di aver fatto da autista a Moez, Cavallari e altri. «La sua presenza — registra il gip — è fondamentale per i giovani perché considerata la notevole differenza di età, avrebbero potuto eludere eventuali controlli di polizia facendo credere agli operatori che si trovavano in compagnia di un genitore o di un parente». Attili ha tentato senza successo di sfuggire a Moez e compagni che pretendono di essere scortati in giro per le discoteche d’italia, è stato picchiato con una mazza da baseball. La paura di ritorsioni è tale che dopo aver denunciato fugge all’estero.
Il quadro diventa più chiaro, ma occorrono le prove. E sono le intercettazioni a fornirle. Nei dialoghi i ragazzi, che ormai sono un gruppo, ostentano il loro metodo, parlando apertamente dei loro colpi («Fra’ — dice Moez in auto con altri — era un periodo che spruzzavamo due, tre volte, stavamo dentro e spruzzavamo un’altra volta») fra un locale e l’altro. La notte di Corinaldo viene evocata come una sorta di incidente collaterale, uno dei ragazzi dà dell’assassino a un altro. Moez e Cavallari possono contare su altri, hanno una squadra. Le intercettazioni dimostrano che «compiono da tempo, professionalmente e con cadenza settimanale, scippi all’interno di locali da intrattenimento di tutta Italia e fanno costantemente uso di spray urticante» per ritagliarsi una tranquilla via di fuga dopo la rapina. Hanno un ricettatore, il commerciante Andrea Balugani che viene allertato, sistematicamente, prima dei colpi. È la conferma che, al loro interno, sono ben strutturati ma soprattutto pericolosi: «Insensibili — scrive Cimini — a qualsiasi azione di prevenzione e repressione posta in essere dalle forze di polizia».