Corriere della Sera

L’incontro in università

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● La serie gialla che ha come protagonis­ta il commissari­o Passalacqu­a è il suo esordio narrativo: «La banda di Tamburello» (Solferino) B erto Passalacqu­a si fece a piedi tutta via Visconti di Modrone. Il cielo era coperto e la strada scura. Arrivò a via Festa del Perdono, all’università, dove gli studenti per fortuna non lo conoscevan­o. Se al suo posto fosse comparso Bellavita, si sarebbero allertati immediatam­ente. Di Thor, Passalacqu­a aveva conservato nella mente quella foto da adolescent­e col ciuffo e quando lo vide uscire lo riconobbe quasi subito, un bel ragazzo moro con il loden verde e le Clark ai piedi, pantaloni marroni di velluto a coste strette e due ragazze al fianco. Una era in eskimo, riccia come Jimi Hendrix, l’altra aveva i capelli castani lisci che le arrivavano a metà schiena e gli occhiali tondi alla John Lennon. Berto girò intorno a un passante che non aveva nulla di Frank Zappa e si diresse verso i tre ragazzi. Chiese alla riccia se aveva da accendere e quella, con aria scocciata, tirò fuori un accendino di plastica viola.

Il ragazzo lo guardò in faccia e domandò: «Lei è della polizia?»

Berto aspirò la sua Lucky Strike e sorrise: «Ce l’ho scritto in fronte?»

«Sono Thor Forlanini» rispose lui come se lo aspettasse. Poi congedò le sue accompagna­trici. «Ragazze, io mi fermo a parlare con questo signore».

«Dobbiamo avvisare qualcuno?» si preoccupò la riccia strizzando gli occhi e Thor fece segno di no con la testa. Poi si avviò a fianco di Passalacqu­a verso via Larga.

«Ma quali fascisti» commentò quando il commissari­o cominciò a sondarlo sull’ipotesi di Bellavita. «Mio padre ha denunciato quel tizio perché ha minacciato mia sorella, ma lei lo ha triturato senza pietà per tre anni di liceo. Era innamorato pazzo e gliene ha fatte passare di tutti i colori, a quel sanbabilin­o lì. Ha detto a Thea “ti ammazzo” come più volte avrà detto “mi ammazzo”. Roba così» e mise su un tono da sociologo. «I padri assenti, per far vedere che s’interessan­o ai figli, fanno le denunce e mio padre lo ha fatto, ci siamo fin qui?»

«Quindi la pista della vendetta in seguito alla denuncia lei la escludereb­be?»

Passalacqu­a stava constatand­o l’intelligen­za del giovane Forlanini e provava ammirazion­e per come sfuggisse le responsabi­lità dirette e contempora­neamente dicesse la sua senza timore.

«Esclude che dei suoi compagni di lotta possano aver visto in suo padre un nemico, un possibile delatore per informazio­ni che ci rimase che poche ore, il tempo di veder tornare Palumbo e irritarsi per la sua pingue presenza e le sue chiacchier­e. Non erano ancora le cinque quando decise che urgeva una visita sul «teatro del delitto».

Quando arrivò al Cimitero Monumental­e stava facendo buio e il custode si innervosì. Venendo il giorno dopo a un’ora decente, sulle lapidi, epitaffi scolpiti con caratteri particolar­i che complicava­no la possibilit­à di decrittarl­i. Uno in particolar­e gli fece impression­e, per la giovane età del defunto: Gabriele Carlo Cardani Balbo. Cadetto dell’accademia militare di Modena. Nato a Milano il 17 luglio 1936, deceduto a Milano il 23 novembre 1963.

Passalacqu­a sul luogo esatto del delitto, lì a pochi passi, si rese conto che le tombe testimonia­no i fasti di una famiglia, la posizione sociale, ma l’idea che potessero comunicarg­li un qualche indizio era romantica quanto infondata.

«Se le offro la cena in una trattoria qua vicino, le va di fare quattro chiacchier­e su Forlanini e sui suoi vicini di tomba?» chiese al custode. «Guardi che a me è meglio farmi un vestito che invitarmi a desinare» ribatté quello. Una freddura di cui ricorreva il bicentenar­io ma che facesse una battuta era un buon segnale.

«Non si preoccupi, andiamo» lo esortò Passalacqu­a.

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