Addio a Durante Napoli e l’america le sue passioni
Autore poliedrico, aveva 66 anni
L’apparizione di Francesco Durante assieme ad Alessandra, la ragazza negli le nobiliare Premio persone occhi Mondello che in palermitano riunite e bianco nel sarebbe sorriso, nel sulla e abbronzati, settembre diventata per terrazza fece la serata sensazione sua di 1985. splendenti un di moglie, palazzo gala tra del
di grande Inge Fitzgerald». Feltrinelli scrittore E notò vincitore anche nella Bernard quell’anno coppia Malamud, «qualcosa del premio, il l’impressione commentò che ammirato quel giornalista confermando italiano, profondo conoscitore della letteratura americana, gli aveva fatto durante un’intervista nel pomeriggio.
Francesco Durante se n’è andato ieri mattina all’improvviso, appena dopo il rito dei giornali e del caffè, nella sua Capri o, per meglio dire, Anacapri (una distinzione a cui teneva), dove era nato il 25 settembre del 1952. Poi visse l’infanzia e l’adolescenza a Pordenone coltivando una passione per la musica che quasi soppiantò quella letteraria. Formò anche una band, di cui era il frontman, e fu la vedette di un locale del posto fino a quando lo spodestò un nuovo gruppo. Non c’era
gara: erano i futuri Pooh. Francesco cantava con voce da crooner. Cavalli di battaglia: i Beatles e Cat Stevens. Non era la sua sola virtù. Quella vera, però, era un’altra. Francesco era detentore di una prosa tra le più belle in circolazione: elegante, sinuosa e, nello stesso tempo, aderente alla verità delle persone e delle cose. Sapeva raccontare terremoti (come fece da inviato del «Mattino»), romanzi e scrittori (come fece per «Grazia», «D» di «Repubblica», «Corriere del Mezzogiorno»).
Si divise, equamente, tra giornalismo ed editoria libraria. Fu a fianco, alla fine degli anni Ottanta, di Leonardo Mondadori nella coraggiosa avventura della casa editrice Leonardo. Qui rispolverò Philip Roth (tra i pochissimi allora a considerare già il più grande scrittore americano). E fece risorgere (non c’è altra parola) un autore gigantesco e cancellato come Domenico (don Mimì) Rea. Lo riportò ai fasti che aveva conosciuto nel dopoguerra, spronandolo a scrivere Ninfa plebea, romanzo che vinse lo Strega (per la cronaca), ma che, soprattutto (per la storia), fece riemergere archeologicamente alla luce una civiltà intera, una letteratura preziosa e furente, simile a un culto pagano antico.
Eppure Francesco sapeva essere modernissimo, ultra contemporaneo. Portò per primo in Italia Bret Easton Ellis e Don Delillo. Scoprì e propagandò John Fante e gli altri italoamericani. E prestò il suo stile da crooner della pagina al più bel libro scritto in questi anni su Napoli, sulla sua meraviglia e la sua dannazione, che intitolò genialmente e laconicamente: Scuorno. Cose che rimangono solide come le rocce dei Faraglioni. Come rimarranno, nel cuore degli amici, le tenere notti ad Anacapri, i bagni proibiti nella Grotta Azzurra, le conversazioni brillanti e interminabili con Giuliano Zincone, Ruggero Guarini e don Mimì. E rimarrà Imagine, come la cantava lui. Addio, fratello mio gentile.