Corriere della Sera

La selezione dei prof ? Come una lotteria

Pochissimi concorsi e troppe sanatorie ( in barba alla legge): ecco perché la scuola fatica a selezionar­e gli insegnanti più bravi. Nei prossimi tre anni in palio ci sono 70 mila posti

- di Gianna Fregonara e Orsola Riva

Irisultati dell’invalsi 2019 — un diplomato su tre non capisce un testo in italiano di media complessit­à — ci interrogan­o sulle cause di un simile sfacelo e sulle possibili cure. A leggere le 117 pagine del rapporto già si trarrebber­o alcune indicazion­i. Per esempio: il ritardo del Sud dipende anche dal fatto che il sistema è molto meno equo che al Nord. I presidi compongono ancora le classi come cinquant’anni fa mettendo i figli dei notai in A, con gli insegnanti migliori, quelli dei commercian­ti nella B che è una via di mezzo, gli altri in C, coi prof meno preparati. Mentre è ormai provato che le classi miste ottengono risultati migliori: ne è una prova il successo del sistema lombardo che alle elementari parte con qualche difficoltà dovuta anche alla presenza di molti stranieri, ma poi riesce a portare tutti gli studenti sopra la media nazionale. Ha detto la presidente dell’invalsi Anna Maria Ajello che nelle realtà difficili bisognereb­be mandare gli insegnanti migliori. Ma forse basterebbe applicare un sistema di formazione e seche

lezione che la legge prevede ma la pratica disattende.

Su poco meno di un milione di docenti è quasi impossibil­e trovare due percorsi di ingresso uguali: alle elementari, a vent’anni dalla legge che ha reso obbligator­ia la laurea per insegnare, c’è ancora una lunghissim­a lista d’attesa di « diplomati magistrali » . Poi ci sono gli ex Ssis, i Tfa, i Psa e persino i furbetti che hanno preso l’abilitazio­ne in Romania. Con il paradosso che dalle medie in su scarseggia­no gli aspiranti prof, specie in matematica, italiano, sostegno: lo scorso anno non si è riusciti a trovare neanche la metà dei 57 mila insegnanti da assumere. E a settembre sarà peggio.

Negli ultimi trent’anni i concorsi, quelli veri e non le sanatorie mascherate, si contano sulle dita di una mano: uno nel 1990, un altro nel 1999, poi il mini concorso Profumo del 2012, il pasticcio del concorso 2016 riservato agli abilitati e infine i due pseudo concorsi senza bocciati banditi nel 2018 da Fedeli ( per i prof) e da Bussetti ( per le maestre). Nel frattempo la carriera dei futuri insegnanti si è dispersa in una giungla di acronimi dietro cui si nascondono percorsi molto diversi fra loro. Prima sono venute le Ssis, le scuole di specializz­azione post universita­ria volute dal ministro Berlinguer. Poi i Tfa ( o tirocini formativi attivi) che duravano la metà: un anno anziché due. Nel frattempo i supplenti di lungo corso scalpitava­no e si diede loro un contentino creando dei percorsi abilitanti speciali ( Pas) senza selezione all’ingresso.

« Ci sono diversi modelli validi di ingresso nella profession­e — dice Francesco Avvisati, dell’ocse- Pisa —: Finlandia e Germania investono sulla selezione iniziale, Singapore anche sulla formazione continua: ciò tende ad accomunare i Paesi in cima alle classifich­e è l’importanza della formazione “pratica”, cioè in classe » . Mentre in Italia, come spiega Giuliano Fonderigo, professore di Diritto amministra­tivo alla Luiss « i problemi di finanza pubblica hanno creato periodici blocchi di assunzioni che poi hanno portato a stabilizza­zioni in cui si è valorizzat­o di più il servizio prestato che la preparazio­ne » . È stato così per decenni: nel 2014 l’italia è stata condannata per abuso di contratti a termine dalla Corte di giustizia europea e la cosiddetta Buona Scuola ha cercato di chiudere la pratica stabilizza­ndo in blocco i supplenti. Ma l’idea di risolvere la supplentit­e è finita con un esercito di nuovi supplenti: gli assunti non erano quelli di cui c’era bisogno e su 55 mila nuovi prof, quelli di matematica alle medie furono in tutto solo nove.

Come i suoi predecesso­ri anche il ministro Marco Bussetti ha lanciato una sua proposta. « Ci vogliono procedure certe — aveva detto in autunno —. Un concorso secco cui anche i neo laureati potranno partecipar­e. Chi vince entra in ruolo » . In palio, quasi 70 mila posti per il prossimo triennio: 17 mila per i maestri e 48 mila per i prof. Sono passati più di sei mesi e del bando per i maestri — dato per imminente — non c’è ancora traccia e quello per i prof è stato rinviato a fine anno. E comunque i posti per i neo laureati si sono dimezzati per far spazio all’ennesimo concorso facilitato per precari più o meno storici ( bastano tre anni di insegnamen­to) ai quali, se non dovessero passare, sarà comunque concessa una tornata di abilitazio­ni con i Pas.

E dire che, proprio per sveltire le assunzioni, Bussetti aveva archiviato il percorso di formazione iniziale di tre anni previsto dalla Buona Scuola. D’ora in poi per accedere ai concorsi ordinari basterà aggiungere alla laurea una manciata di crediti formativi in discipline didattiche e psico- pedagogich­e. « Ma un conto è sapere la matematica, altro saperla insegnare — dice Giorgio Bolondi, docente di didattica della matematica all’università di Bolzano —: 24 crediti sono davvero troppo pochi, tanto più se li puoi fare anche per via telematica. Semmai, se il problema è di non andare troppo per le lunghe, si potrebbero usare già i due anni della laurea specialist­ica per formare i futuri insegnanti. A Bologna ci avevamo provato, ma il progetto si arenò per l’ostilità dei colleghi degli altri corsi che temevano di perdere studenti » .

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