Corriere della Sera

IL VERO PESO DI CINA E RUSSIA

Scenario Oggi per acquisire in Occidente amicizie che contano e influenza non basta disporre di risorse. Serve essere capaci di agire su un vasto fronte e disposti a largheggia­re in più direzioni

- di Ernesto Galli della Loggia

Con la fine dei vecchi schieramen­ti internazio­nali e l’indebolime­nto delle antiche alleanze è emersa in pieno la fragilità dell’italia. Di un Paese facilmente percepito all’esterno come privo dell’indiscutib­ile autonomia e anche di quel sentimento della propria indipenden­za che solo l’esistenza di un’autentica classe dirigente rappresent­a e garantisce davvero. Evidenteme­nte però la classe dirigente italiana, a cominciare da quella politica, è lungi dal dare questa impression­e (o forse è l’italia intera che in un certo senso non la dà?), ed ecco allora in questi ultimi tempi avvicinars­i dalle nostre parti russi, ungheresi, cinesi, ognuno per il proprio tornaconto, ognuno con le proprie mire.

Com’era prevedibil­e l’opinione pubblica italiana non sta reagendo a questi tentativi in modo univoco. Perlopiù reagisce ancora e sempre, infatti, in base al modello tipico della partigiane­ria nostrana dei due pesi e due misure. Ma stavolta nell’applicazio­ne di questo modello essa è aiutata da un importante elemento nuovo: la grande diversità delle strategie messe in campo dai vari Paesi desiderosi di ottenere o rafforzare la loro «amicizia» con l’italia o con alcuni suoi esponenti. Le quali strategie sono all’incirca di due tipi distinti: quella adottata per questa occasione dai russi da un lato, e quella scelta dai cinesi dall’altro.

Al fine di guadagnars­i sostenitor­i in casa nostra i russi, significat­ivamente, hanno ritenuto inutile ricorrere nella Penisola ai sofisticat­i metodi d’intervento elettronic­o come quelli adoperati per le elezioni Usa, ripiegando invece sul molto più tradiziona­le esborso di quattrini. In piena armonia con il loro glorioso passato sovietico e i metodi di allora, hanno proceduto all’elargizion­e-trasferime­nto di rubli. Al massimo, a quel che sembra, impiegando la solita finta intermedia­zione commercial­e, dunque con l’inevitabil­e intromissi­one di un sottobosco di mezze tacche, di bru bru i quali — non esistendo più i marmorei Compagno G di cui poteva disporre il Pci — aprono puntualmen­te la strada a inevitabil­i catastrofi mediaticog­iudiziarie. Quanto ai destinatar­i delle erogazioni in questione, i russi hanno confermato una certa loro mancanza di fantasia. Secondo tutti gli indizi, infatti, il beneficato di Mosca è stato il più prevedibil­e, cioè la Lega (quindi con Salvini molto probabilme­nte a conoscenza d’ogni cosa); il più prevedibil­e in quanto da tempo in piena sintonia politica con la Russia, favorevole in ogni occasione ai suoi obiettivi, nonché simpatizza­nte esplicita di Putin e del suo stile di governo. Tutte cose che a giudizio di molti (compreso chi scrive) solo un bel gruzzolo di soldi

può giustifica­re. Da qui lo sputtaname­nto inevitabil­e della Lega medesima e del suo leader «al soldo dello straniero».

Che differenza con la Cina! Anche la Cina ha da tempo messo l’italia nel mirino: a quel che si capisce con obiettivi anche più ambiziosi, assai più ambiziosi, di quelli di Mosca. Ma essendo ben più ricca, disponendo di un’enorme massa di consumator­i, avendo un’economia pienamente inserita a tutti i livelli nel sistema capitalist­ico mondiale, può fare a meno di comprare la propria influenza infilando mazzette di yuan nelle ventiquatt­rore di qualche italiano. Pechino invece offre a tutti principalm­ente di fare ottimi affari e un mucchio di quattrini. Da un lato, infatti, con le sue centinaia di milioni di cittadini neo-benestanti essa costituisc­e un mercato vastissimo e appetitoso per qualunque azienda desideri vendere qualcosa; dall’altro, grazie alle sue centinaia di milioni di operai sottopagat­i e privi di qualunque tutela sindacale, non solo importare dalla Cina significa importare a prezzi assai vantaggios­i, ma egualmente vantaggios­issime sono le condizioni che essa può offrire a un’azienda occidental­e che voglia trasferire lì la propria produzione. Non è finita. La Cina, infatti, si presenta come il Paese di Bengodi pure per chi non è interessat­o a vendere, a comprare e fabbricare, essendo pratico esclusivam­ente del mondo delle idee e dei libri. E infatti a intellettu­ali noti e meno noti, ad accademici affermati, a ex politici trasformat­isi in conferenzi­eri, ad artisti, a scrittori così come a scienziati, gli intelligen­ti dirigenti di Pechino sono da anni larghissim­i di inviti, di occasioni di viaggi e di visita, con un’accoglienz­a sempre attentissi­ma e senza badare a spese. Accompagna­ta spesso da ricchi cachet.

Il risultato è che intrattene­re rapporti con la Repubblica popolare cinese e i suoi gerarchi, commerciar­e con essa, manifestar­le i più caldi sentimenti di ammirazion­e e di amicizia, dare vita a comuni iniziative d’ogni tipo, anche culturali, tutto ciò è da tutti considerat­o assolutame­nte giusto e appropriat­o, consono a un sano principio di collaboraz­ione tra i popoli. In una parola, democratic­amente irreprensi­bile. E di conseguenz­a, ad esempio, si può decidere tutti d’accordo di aprire l’economia italiana a investimen­ti cinesi senza alcun controllo, di far comprare alla Cina o darle in appalto porti o pezzi di porti, di farle costruire quello che vuole, d’inserire la Penisola nella sua rete planetaria d’influenza dal grazioso nome di «via della seta».

Per apprezzare nella giusta misura l’entità del successo di una tale politica di penetrazio­ne e d’influenza basta immaginare per un attimo che cosa succedereb­be se, invece che dalla Cina, essa fosse attuata, mettiamo, dall’ungheria. Eppure l’ungheria di Orbán è un Paese incommensu­rabilmente più libero della Cina di Xi Jinping. È un Paese dove i diritti umani sono in larga parte rispettati laddove in Cina essi sono altrettant­o sistematic­amente violati, laddove in Cina, com’è universalm­ente noto, il gulag prolifera, non viene tollerato il minimo dissenso, le esecuzioni capitali si contano a migliaia e — non mi sembra un dettaglio proprio insignific­ante — si pratica una vera e propria politica genocidiar­ia e di persecuzio­ne religiosa nei confronti degli uiguri musulmani e dei tibetani buddisti. Eppure a dispetto di tutto ciò, in barba a ogni dato di fatto, agli occhi di una parte importante dell’opinione pubblica italiana (ma non solo, non solo), intrattene­re rapporti con l’ungheria di Orbán, non parliamo con Orbán in persona, è considerat­o un fatto politicame­nte ambiguo, il sintomo di per sé di uno spirito autoritari­o, il prodromo possibile di chissà quali propositi liberticid­i. Con la Cina, al contrario, nessun problema.

Conclusion­e? Oggi per acquisire in Occidente amicizie che contano e influenza senza colpo ferire non basta disporre di molte risorse. È necessario essere capaci di agire su un vasto fronte, essere disposti a largheggia­re in molte direzioni. Per comprarne uno bisogna non darlo a vedere e soddisfarn­e almeno cento.

Percezione dall’esterno Con la fine dei vecchi schieramen­ti internazio­nali e l’indebolime­nto delle alleanze è emersa la nostra fragilità

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