Corriere della Sera

L’incubo della «scatola» (dove impazzì El Chapo) I dubbi sulla sorveglian­za

Dentro il Metropolit­an Correction­al Center spazi stretti, insetti, 23 ore di isolamento

- di Guido Olimpio

T he box, un piccolo inferno sulla terra, un buco dove affonda ogni speranza. Questo è MCC, il Metropolit­an Correction­al Center di New York, la prigione dove era rinchiuso Epstein. Di qui sono passati molti criminali, tra gli ultimi un paio di terroristi e il padrino messicano Joaquín Guzmán El Chapo. Sono stati proprio i suoi legali a denunciare quello che molti sapevano: le condizioni sono al limite della tortura. In particolar­e nella sezione speciale, detta SAM.

Niente luce naturale, celle minuscole infestate da insetti d’ogni tipo, isolamento di 23 ore per chi è a sottoposto a controlli particolar­i, difficoltà di comunicare con gli altri, anche se poi gli «ospiti» trovano il modo. Lo scorso inverno ci sono stati problemi con il riscaldame­nto, i «bracci» sono rimasti al gelo. Gli avvocati del boss avevano sostenuto che il loro cliente stava perdendo la vista e rischiava di diventare

pazzo. Finito il processo, condannato, lo hanno trasferito in un’altra «tomba», a Supermax, in Colorado.

Ora, proprio le regole dell’mcc aumentano gli interrogat­ivi sulla fine del produttore. Tenuto d’occhio dalle guardie, la sorveglian­za totale è stata però sospesa poche ore prima del suicidio. Sorprenden­te. In quanto c’era stato un primo tentativo di togliersi la vita. Storia ambigua. Infatti non si era escluso un trucco della vittima per finire in infermeria o persino un’aggression­e da parte di un altro detenuto, un ex poliziotto responsabi­le di 4 omicidi. Particolar­i da chiarire tra sospetti — fondati o meno — sulla morte di uno che sapeva molto. Anche se ci sarà sempre qualcuno che contesterà la versione ufficiale.

Dall’altra parte è già capitato che criminali dal gran nome abbiano fatto una brutta fine dietro le sbarre. L’ultimo episodio ha riguardato il killer della mala, James Whitey Bulger. Sapevano che sulla sua testa c’era un «contratto», sapevano che era considerat­o un infame per aver collaborat­o con l’fbi eppure lo hanno portato in una prigione senza adeguata protezione. Un cambio avvenuto dopo molte firme d’autorizzaz­ione. Una mattina d’autunno, all’ora della colazione, lo hanno trovato massacrato a morte, a colpi di lucchetto, dentro la cella.

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(Afp) Fine La trasformaz­ione di Jeffrey Epstein in carcere. Sotto, l’auto del medico legale

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