Corriere della Sera

Un re contro il British Museum «Ridateci il tamburo del potere»

Il sovrano dei Pokomo (Kenya) e lo strumento «sottratto» nel 1902. «Resterà a Londra»

- Di Michele Farina DAL NOSTRO INVIATO

LONDRA Un re senza tamburo: se potesse conferire con la «collega» Elisabetta che sta in Inghilterr­a, certamente Sua Maestà Makorani-a-mungase VII parlerebbe di un oggetto meraviglio­so chiamato ngadji. Così come a Buckingham Palace hanno i gioielli della Corona, nella valle del fiume Tana hanno (avuto) un magnifico tamburo sacro. «Leggenda vuole che il suono fosse come il ruggito del leone — ha raccontato il sovrano a un inviato del Washington Post che è andato a trovarlo in Kenya —. Il suo battito si propagava di villaggio in villaggio e induceva tutti all’ascolto. Era la fonte di ogni potere e l’orgoglio di noi Pokomo».

È stato così fino a 117 anni fa, quando il prezioso ngadji (ricavato da un enorme tronco cavo di mzinga) fu prelevato (c’è chi dice con l’inganno) da un commercian­te di legnami norvegese, Jens J. Anderssen detto il Toro, che il Protettora­to Britannico dell’africa Orientale aveva incaricato della sorveglian­za sulla popolazion­e locale. Il Toro e i suoi uomini nel 1902 caricarono sul battello Gli anziani del villaggio

a vapore il gigantesco tamburo e sparirono. Era il tempo in cui l’attuale Kenya con altri territori erano colonie di Sua Maestà di Londra. Fu lì, proprio nella capitale britannica, che nel 1908 ricomparve (e tuttora rimane) il prezioso reperto, uno degli 8 milioni di oggetti che oggi fanno parte della collezione del British Museum. I Pokomo chiedono la Ngadji sua restituzio­ne. Il museo dice no: «Al massimo ve lo prestiamo».

Nella valle del fiume Tana, i Pokomo sono rimasti in duecentomi­la. In maggioranz­a si sono convertiti all’islam e al cristianes­imo. Il tamburo non ha più il valore sacro di un tempo, e gli abitanti hanno problemi molto più impellenti: salute, scuole, cibo, lavoro. È in quella parte di Kenya che forse si sono perse le tracce di Silvia Romano, l’operatrice umanitaria italiana rapita nel 2018.

Una terra dove vivere non è semplice. Chi baderebbe al tamburo? Ci sarebbe lo spazio e i modi per preservarl­o? Il British Museum, come altri musei in Occidente, si consideran­o custodi del patrimonio dell’umanità e non certo eredi di pratiche neoimperia­liste. Gli oggetti «sono preservati e possono essere visti ogni anno da milioni di persone», è la risposta ufficiale dei responsabi­li del British. Il tamburo sacro però non è manco esposto. Il fratello del re, che vive a Liverpool, è l’unico Pokomo che ha avuto la possibilit­à di vederlo, e di fare rapporto ai suoi fratelli in Kenya: «È in ottimo stato».

Certo il problema rimane. Chi deve custodire l’ngadji? Forse non è un caso che la scrittrice egiziana Ahdaf Soueif poche settimane fa si è dimessa dal consiglio del British Museum, citando le radici colonialis­te e la ritrosia «nel far conversare il Nord e il Sud del mondo».

La Francia di Emmanuel Macron ha promesso la restituzio­ne di diversi tesori africani che si trovano nei tanti musei l’oltralpe, anche se finora sono volati soprattutt­o buoni propositi. La Gran Bretagna sembra ancora frenata su questo sentiero. E così, nel silenzio di un magazzino londinese, resta il grande ngadji con il suo ruggito di leone, che nessuno sente più.

 ??  ?? Il simbolo ● Il tamburo dei Pokomo, capace di emettere suoni «potenti come il ruggito di un leone», era il simbolo magico di potere
● Nel 1902, un norvegese lo portò via con l’inganno
● Ricomparso a Londra nel 1908, da allora è conservato al British Museum
Il simbolo ● Il tamburo dei Pokomo, capace di emettere suoni «potenti come il ruggito di un leone», era il simbolo magico di potere ● Nel 1902, un norvegese lo portò via con l’inganno ● Ricomparso a Londra nel 1908, da allora è conservato al British Museum
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