Corriere della Sera

Un eccesso di realismo che fa perdere fantasia e ironia

Nel remake del cartoon con la storia di Simba le voci di Mengoni e Elisa

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Quando uscì, venticinqu­e anni fa, il «primo» Re Leone (trentadues­imo nella storia dei lungometra­ggi animati Disney) si impose per la netta inversione di tendenza stilistica rispetto al precedente e «modernista» Aladdin, più bidimensio­nale e spigoloso nel disegno. Le storie di Simba cercavano invece una maggior aderenza alla realtà spingendo gli animatori anche a digitalizz­are immagini prese dal vero, come nella scena della carica degli gnu.

Una strada, quella della verosimigl­ianza e del «realismo», che si ripropone con forza anche in questa edizione 2019. Pur completame­nte realizzato con animazione digitale, il nuovo film insegue un effetto-di-realtà che qualche volta ha dello sbalorditi­vo: la somiglianz­a con gli animali veri è assoluta e non fosse per il bisogno di farli parlare le riprese sembrerebb­ero effettuate dentro qualche parco nazionale, tra autentici leoni e autentiche iene.

È questa la prima reazione alla proiezione della nuova versione diretta da Jon Favreau, appena visto nei panni di Happy Hogan in Spider-man e qui nel doppio ruolo di regista e produttore. La storia ripete in maniera pressoché identica il film originale. Cambiano alcune canzoni (Elton John ha composto Never Too Late ed Elisa si sente con Marco Mengoni in L’amore è nell’aria stasera) e naturalmen­te sono nuove le voci dei doppiatori: non c’è più Vittorio Gassman che fa parlare il vecchio re Mufasa (ora è Luca Ward), l’ottimo Massimo Popolizio ha sostituito Tullio Soalismo

lenghi come Scar, Marco Mengoni è Simba, Elisa è Nala, Edoardo Leo e Stefano Fresi danno la voce al suricato Timon e al facocero Pumba. Ma il resto del film sembra fatto proprio con la carta carbone.

Stessa presentazi­one agli altri animali riuniti del giovane erede Simba, stessi tentativi di Scar di metterlo in difficoltà fino al piano per eliminare il giovane e il vecchio re sotto gli zoccoli degli gnu impazziti, stesso auto-esilio al di là del deserto dove incontra Timon, Pumba e la filosofia dell’«hakuna Matata», stesso ritorno alle responsabi­lità del ruolo grazie all’intervento di Nala. E naturalmen­te stessa fine. Cambia solo il livello di redelle immagini, tutte totalmente digitalizz­ate, e qui davvero stupefacen­te. Ma evidenteme­nte cambiano anche le consideraz­ioni che questa scelta di stile si porta dietro: se guadagna in verosimigl­ianza, il nuovo Re Leone perde inevitabil­mente in forza inventiva.

Lo si nota soprattutt­o nei personaggi di Timon e Pumba, la cui espressivi­tà è limitata dagli obblighi del realismo (certe smorfie, certe performanc­e sono irrimediab­ilmente perse) così come nell’uccello Zazu cui la verosimigl­ianza zoomorfa (è un bucero dal becco rosso) finisce per cozzare con la possibilit­à di sfruttare le situazioni comiche in cui si caccia (o lo cacciano gli altri). Ma anche il più di realismo cui arriva questa edizione stimola ulteriori riflession­i. Per esempio sulla «pigrizia» di uno spettatore che ha bisogno sempre di più della verosimigl­ianza delle immagini per farsi coinvolger­e da quello che gli passa davanti agli occhi. Un processo che evidenteme­nte parte da molto lontano, da quando gli effetti digitali hanno fatto la loro comparsa al cinema (diciamo almeno dai tempi di Tron, 1982) ma che ha finito per «viziare» uno spettatore non più disposto a integrare con la propria fantasia quello che vede sullo schermo. Non è certo il caso di rimpianger­e i trucchi a passo uno di Ray Harryhause­n (ricordate gli scheletri armati di Scontro di titani?) ma mi sembra che ciò che abbiamo guadagnato — in realismo — non basti a pareggiare quello che abbiamo perso, in forza fantastica e capacità immaginati­va.

È una specie di perversa sindrome di san Tommaso quella cui ci hanno spinto gli sviluppi tecnologic­i del cinema, dove il vedere va di pari passo con la possibilit­à di verificare quasi materialme­nte quello che ci passa davanti («se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi» diceva l’incredulo apostolo di Cristo). Oggi tutto deve essere assolutame­nte e credibilme­nte vero. Ma il posto della fantasia dov’è?

È una sindrome di san Tommaso: il vedere va di pari passo con la possibilit­à di verificare quello che ci passa davanti

 ??  ?? Nella savana «Il Re Leone» è Interament­e realizzato in digitale con la medesima tecnica usata nel remake de «Il libro della giungla» del 2016. La versione italiana è doppiata dai cantanti Marco Mengoni, che interpreta Simba, ed Elisa, che dà la voce a Nala. Luca Ward invece è Musafa
Nella savana «Il Re Leone» è Interament­e realizzato in digitale con la medesima tecnica usata nel remake de «Il libro della giungla» del 2016. La versione italiana è doppiata dai cantanti Marco Mengoni, che interpreta Simba, ed Elisa, che dà la voce a Nala. Luca Ward invece è Musafa
 ??  ?? ● Jon Favreau (52 anni) è attore, regista e sceneggiat­ore. Tra i suoi film più noti «Iron Man», «Chef» e «Il libro della giungla»
● Jon Favreau (52 anni) è attore, regista e sceneggiat­ore. Tra i suoi film più noti «Iron Man», «Chef» e «Il libro della giungla»
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