«Mi ha picchiata» Il boss Maniero ritorna in carcere
Brescia, la donna finisce al pronto soccorso. Lui in lacrime: solo qualche schiaffo
Ha picchiato la compagna e per questo l’ex boss della mafia del Brenta, Faccia d’angelo, al secolo Felice Maniero, è tornato in carcere. In cella a Bergamo ha pianto: «Lasciatemi, devo pensare a mia figlia».
Èil 21 maggio. Una donna si presenta al pronto soccorso dell’ospedale di Brescia: ha 47 anni, è magrissima, debilitata. E fragile. «Forte cefalea», annota un’infermiera. Ma mentre si sottopone agli accertamenti improvvisamente scoppia a piangere. Un crollo emotivo che la spinge a confidare tutto ai medici: «Sopporto una situazione ormai insostenibile con il mio compagno, non ce la faccio più. Mi maltratta e alza le mani». Anni di violenze, fisiche e psicologiche.
È l’ennesima storia di uomini violenti e di mogli costrette a subire. Ma l’uomo che la donna denuncia è Felice Maniero, 65 anni, l’ex boss della Mala del Brenta, che tra gli anni Ottanta e gli inizi del decennio successivo gestiva il gioco d’azzardo tra Nord Italia e Jugoslavia, rapinava banche, assaliva furgoni blindati e seminava morti di overdose con lo spaccio di droga in Veneto.
Una tempesta criminale che finì dopo la cattura nel 1994, quando «Faccia d’angelo» decise di collaborare e fece i nomi di tutti i suoi compari. Spedì in galera decine di complici e si guadagnò un nuovo nome e una vita sotto copertura lontano da quella Riviera del Brenta che lo trattava come un re.
Con lui c’era già quella donna che per oltre vent’anni gli è sempre stata accanto. Fino al 30 luglio, quando viene sentita dagli investigatori e subito dopo decide di andarsene di casa. Destinazione: una comunità protetta. Quella sera Maniero non la vede rientrare e resta di sasso. Poi contatta le cognate e si sente dire che «sta bene, è al sicuro. Se n’è andata perché non ne poteva più». Quel che non poteva immaginare è che le indagini sarebbero andate avanti fino a venerdì, quando la polizia ha bussato alla sua villetta a due passi dal centro di Brescia per arrestarlo sulla base delle procedure del «Codice Rosso».
Lui — che con gli agenti aveva sempre giocato a guardie e ladri — è scoppiato a piangere. Ma dieci pagine di ordinanza firmate dal gip raccontano tre anni di soprusi psicologici e fisici tra le mura domestiche. Perché Maniero «a seguito di un litigio schiaffeggiava ripetutamente la moglie», si legge. Le minacce: «Se non torni a casa con i pagamenti ti brucio tutte le borse», «Ti butto tutti i vestiti, regalati». E le umiliazioni: «Non sei in grado di fare nulla, sei un’incapace».
Alla base dei litigi, c’era l’unica cosa che Felicetto ha sempre dimostrato di amare: i schei. Quei soldi che negli anni feroci della Mala arrivavano a miliardi ogni settimana. E che ora cominciavano a scarseggiare, al punto che da mesi la famiglia Maniero non pagava l’affitto e rischiava lo sfratto. Di «difficoltà economiche» parlò anche ai pm di Venezia quando, nel 2016 — per vendicarsi del cognato — decise di rivelare che fine avesse fatto il suo famoso «tesoro». All’epoca fu anche costretto ad ammettere di aver perso 150 mila euro nel fallimento di Madoff, in America, e che, tra il Natale 2015 e l’epifania, finì ricoverato a Verona per un esaurimento.
«È vero, ammetto di averla insultata, o che a volte sia volato uno schiaffo, ma non posso accettare che lei parli di tre anni di maltrattamenti e d’inferno», ha provato a spiegare al suo avvocato Luca Broli, che ieri l’ha incontrato in carcere a Bergamo. L’immagine di Maniero oggi è quella di un (ex) boss senza soldi e sull’orlo di una crisi di nervi. E forse c’è anche questo all’origine degli scoppi d’ira denunciati dalla sua compagna: l’incapacità di accettare il paragone tra passato e presente. L’adrenalina, il lusso, il potere. Per Felice Maniero, era tutto finito.