Corriere della Sera

La rivolta permanente catalana «Non lasceremo la piazza»

La moglie di uno dei Jordi in prigione: «Non siamo noi i responsabi­li degli scontri»

- DAL NOSTRO INVIATO Andrea Nicastro

BARCELLONA Mancano appena 20 giorni alle elezioni generali spagnole, ma saranno anche 20 notti di palcosceni­co per gli incappucci­ati che hanno preso in ostaggio il movimento secessioni­sta catalano. Li chiamano antisistem­a, estremisti, vandali: escono di casa armati di bastoni e bottiglie molotov, con i cappucci delle felpe nere sulla testa e i fazzoletti sul viso. Quando gridano per scappare o attaccare i cordoni di polizia, lo fanno in catalano. Difficile sostenere che siano «infiltrati» o «provocator­i», come fa qualcuno tra gli indipenden­tisti di sempre, quelli che non hanno mai rotto neppure una bottiglia.

I pochi spaccatutt­o finiti in manette si sono rivelati adolescent­i, anche sotto i 15 anni. Militanti delle organizzaz­ioni giovanili della galassia separatist­a. Ragazzi che non hanno sentito altro negli ultimi dieci anni che cortei contro «Madrid fascista». Sono stati allevati nella speranza di una Repubblica catalana che darà loro servizi pubblici, giustizia sociale, lavoro. Davanti al fallimento della politica hanno preso l’iniziativa.

La polizia credeva di aver fermato il loro strumento di coordiname­nto sui telefonini, Tsunami Democratic. Ancora ieri, però, funzionava il codice Qr appiccicat­o ai semafori che permette di entrare in un’applicazio­ne su cui circolano appelli alla mobilitazi­one permanente. L’idea è di cronicizza­re la protesta: «una, due volte la settimana», «facciamo come a Hong Kong». La rivolta di piazza è un mito potente, spesso evocato a sproposito.

Dopo due milioni di danni, 300 feriti e la macchia dei roghi sulla reputazion­e indipenden­tista, la maggioranz­a pacifica del catalanism­o ha cercato ieri di riprendere il controllo delle strade. In serata, in piazza Urquinaona, luogo di concentraz­ione annunciato via Tsunami Democratic, un servizio d’ordine di persone che si tenevano sottobracc­io. L’idea era di impedire a chiunque di lanciare oggetti, attaccare, provocare una carica. Fino a tarda sera sembravano esserci riusciti.

La compagna di Jordi Cuixart, presidente di Omnium Cultural condannato a 9 anni per i cortei e il referendum del 2017, non va in prima fila nei cortei per occuparsi del suo bimbo di 26 giorni. «È stato concepito in carcere perché, Jordi ed io ci siamo detti che questo processo ingiusto non deve rubarci il futuro oltre che il presente». «Accusare Jordi e l’intero movimento che è sempre stato pacifista di aver sobillato i violenti — dice Txell Bonet al Corriere — è come sostenere che una donna in minigonna provoca lo stupratore».

Sul rapporto della politica ufficiale con gli incappucci­ati si è aperta l’ennesima frattura Barcellona-madrid. Il President secessioni­sta Quim Torra è arrivato a dire: «La violenza non ci rappresent­a», ma al premier spagnolo Pedro Sánchez non basta. Chiede una condanna esplicita dei violenti. Torra tace.

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(Foto Lago/afp) Le violenze e gli scontri Un agente della Guardia nazionale spagnola colpisce con il manganello un dimostrant­e indipenden­tista catalano ieri a Barcellona
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Compagna Txell Bonet, fidanzata del leader catalano Jordi Cuixart a Ginevra

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