Scopre che uccise la ex e vuole lasciarlo Lui cerca di sgozzarla
Torino, sta scontando 12 anni in cella. Era in permesso
TORINO «Prima ti ammazzo, e poi mi ammazzo io». Dopo aver afferrato una bottiglia di vetro e aver sfigurato il volto dell’ex amante, Mohamed Safi ha tentato di sgozzarla. Non ci è riuscito soltanto perché lei, riversa a terra ferita, aveva una sciarpa spessa. «Non riusciva a togliermela, solo per questo ho evitato il peggio», ha detto la donna, tramortita, alla polizia, intervenuta a salvarla in corso Giulio Cesare, a Torino, verso la mezzanotte di venerdì.
Quel che Concetta, torinese di 43 anni, aveva scoperto poco prima dell’ultima — e quasi fatale — lite con Safi, è che quell’uomo, bello e sempre sorridente, non era soltanto un tunisino di 36 anni che faceva il cameriere, ma un assassino. Una persona violenta, che nel 2008 a Bergamo aveva ucciso una ragazza di 21 anni di cui s’era invaghito, Alessandra Mainolfi. Safi era stato condannato a 12 anni. In virtù della «buona condotta», nel 2015 aveva iniziato a lavorare nel panificio del carcere di Alessandria. Nel maggio del 2017, il grande salto: un lavoro vero, fuori dal carcere, per la cooperativa Pausa café.
Al Palagiustizia Safi lo conoscevano tutti, fino al giugno scorso. Faceva i caffè a magistrati, giudici, avvocati. Dopo era stato trasferito in un bar di Grugliasco. «L’ho conosciuto ad aprile, su una chat», ha raccontato Concetta agli agenti del commissariato Barriera di Milano. «Non mi aveva detto di essere un detenuto, e nemmeno di aver ammazzato una donna», ha rivelato lei, separata e con due figli. «Mi ero insospettita — ha detto la 43enne — perché non poteva mai fermarsi a dormire con me, così navigando su Internet, ho scoperto il suo passato». Quando Concetta annuncia a Safi che la loro relazione è finita, lui non si rassegna.
Venerdì sera, pare dopo il lavoro, Safi vede Concetta in un bar di via Sansovino. Dovrebbe essere il famoso «ultimo saluto». E finisce in tragedia, come ogni volta, perché Safi non lascia andare Concetta, ma la segue sul tram. «Sono scesa in via Lauro Rossi e lui era dietro di me, in via Verres mi ha aggredita e mi sono ritrovata faccia a terra». Concetta urla, attira la gente e la volante che in quel momento passa di lì. L’arresto del tunisino è immediato. La vittima viene operata dall’equipe di chirurgia plastica all’ospedale Maria Vittoria: ha il nervo facciale distrutto. Anche Safi resta ferito, nel colpire la donna, e sbatte la testa cadendo a terra. Verrà piantonato al repartino delle Molinette. «Era un lavoratore modello, un ottimo barista», afferma Marco Ferrero, presidente della cooperativa di recupero sociale Pausa café. Un aggressore che si mostrava irreprensibile, un copione comune a tanti femminicidi. Safi ora risponde di tentato omicidio aggravato.
Era in carcere da 11 anni: gli mancava un anno per finire di scontare la pena per l’omicidio di Alessandra. La sorella Valentina vive ancora a Pradalunga, vicino a Bergamo. Ieri ha preferito non dire nulla. «Soffre ancora», spiega una parente. Il tunisino adesso non rischia solo la condanna per avere aggredito Concetta. Ieri il Guardasigilli, Alfonso Bonafede, ha sollecitato l’ispettorato del ministero della Giustizia a compiere accertamenti riguardo all’utilizzo dei permessi. Non è chiaro infatti come Safi potesse incontrare la sua vittima, visto che, nell’orario in cui era fuori dal carcere — tra le 15 e le 2 — era tenuto a lavorare.
La vittima
«Ho saputo del suo passato navigando in rete». Si è salvata solo grazie alla sciarpa