Corriere della Sera

La vertenza Whirlpool e l’instabilit­à politica

- di Riccardo Gallo

L’incontro martedì scorso tra il ministro dello Sviluppo economico Patuanelli e i vertici Whirlpool è andato male. Lo stabilimen­to di Napoli chiuderà il primo novembre. L’azienda ha ravvisato indisponib­ilità a discutere la riconversi­one da parte del governo, e questo ha minacciato scelte unilateral­i.

Nei mesi scorsi il ministro Di Maio aveva offerto una decontribu­zione sui contratti di solidariet­à per 17 milioni. Nelle vertenze industrial­i, però, è bene che un ministro non offra incentivi per forzare la mano all’impresa, né sia contropart­e di questa, non può rischiare di soccombere a un qualsiasi pur rispettabi­le privato. Si deve porre terzo tra impresa e sindacato, ascoltare le parti, individuar­e autonomame­nte uno spazio di sovrapposi­zione di interessi e proporre una sintesi da «prendere o lasciare». Lo so perché trent’anni fa svolsi questo compito in quel ministero e, tra le altre, mi capitò l’acquisizio­ne Indesit da parte di Merloni.

La Whirlpool è una multinazio­nale sul mercato globale. Da anni fattura 21 miliardi di dollari, dà lavoro a 91 mila dipendenti, registra una redditivit­à delle vendite bassa, tra il 5 e il 6 per cento, nel 2018 calata a 1,3 per cento (la media per le multinazio­nali è doppia, 10,8 per cento) (Area Studi Mediobanca).

Già nel 2013, poco prima di vendere Indesit a Whirlpool, Vittorio Merloni mi confidò: «Mi faccio un mazzo così ma i margini di quest’industria sono all’osso». I risultati della multinazio­nale sono stabili in Nord America e Asia, ma calanti nell’area Europaruss­ia-africa.

Il problema però è l’italia, dove i risultati vanno giù a picco. Nel 2016 c’è stata una perdita operativa di 22 milioni, nel 2017 di 63, nel 2018 è stata gran parte dei 106 milioni dell’area Europa. Le ragioni della specificit­à dell’italia non sono chiare. Non sono tecnologic­he, perché la multinazio­nale impiega ovunque le proprie migliori tecnologie. Possono dipendere da una scarsità di domanda di mercato domestico, ma il governo da anni regala incentivi. Pare ci sia una crisi delle lavatrici di alta gamma prodotte a Napoli, ma chissà se solo congiuntur­ale.

Più probabilme­nte il management di Whirlpool non ha saputo gestire l’acquisizio­ne Indesit. L’annual Report 2018 della Corporatio­n dice che un’acquisizio­ne comporta in generale rischi di insuccesso se in quel paese c’è «Political, legal, and economic instabilit­y and uncertaint­y».

I ministri (Di Maio prima e Patuanelli dopo) avrebbero dovuto offrire la rimozione di qualche ostacolo alla competitiv­ità. Infine, tempo fa l’azienda ha detto di voler vendere la fabbrica di Napoli a un imprendito­re privato per fare container refrigerat­i.

Anche questa è stata una mossa maldestra, perché una carta simile uno la cala in risposta a una sollecitaz­ione della contropart­e, non la consuma precoce come Di Maio con la decontribu­zione. Insomma, la frittata di Napoli è la conseguenz­a di più comportame­nti giovanilis­tici.

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