Corriere della Sera

Atwood: più forti le voci delle donne Ma non basta

- Dalla nostra inviata Alessia Rastelli

FRANCOFORT­E «Le voci delle donne oggi sono più alte di quanto fossero una volta. Negli anni Sessanta le femministe venivano trattate come pazze. Poi sono riuscite a uscire dall’angolo e hanno lavorato su diritti come l’aborto. Ma anche sulla possibilit­à di avere un proprio conto in banca e di essere pagate come gli uomini se svolgono lo stesso tipo di lavoro: obiettivo questo che ancora non è stato raggiunto». Margaret Atwood mette al centro della fiera del libro di Francofort­e il tema femminile. Lo fa nel corso di un galà letteraio nella serata di ieri, cui partecipan­o Colson Whitehead, Maja Lunde, Elif Shafak (tutti presentano i loro libri usciti in tedesco) e poi Ken Follett sul suo tour antibrexit.

«La situazione — prosegue la scrittrice canadese — è anche peggiore in alcune zone del mondo, perciò il mio romanzo I testamenti (Ponte alle Grazie) è legato a Equality Now, associazio­ne che lavora per le donne di ogni etnia. I regimi totalitari fanno sempre marcia indietro sui diritti delle donne». L’autrice parla anche del secondo grande tema che le sta a cuore da sempre, il clima. «Mio padre fu tra i primi ambientali­sti e anche lui fu preso per pazzo. Sono felice che ora ci siano tanti ragazzi a manifestar­e. Su Instagram mi sono anche espressa per il movimento Exctinctio­n Rebellion». Atwood, che ha ottenuto il Booker Prize 2019, dice di essere stata «sorpresa». Il suo nome era circolato anche come possibile candidato a uno dei due Nobel assegnati quest’anno (per il 2019 e il 2018, quando era stato sospeso).

A proposito di premi e di Nobel, ieri un evento assai affollato della Buchmesse è stato dedicato al vincitore del riconoscim­ento 2019 dei librai tedeschi: Sasa Stanisic, per Herkunft (Luchterhan­d). Nel volume l’autore bosniaco naturalizz­ato tedesco racconta tra l’altro la sua disperata fuga dalla guerra nella ex Jugoslavia negli anni Novanta. Proprio lui, alla vigilia della Buchmesse, aveva duramente criticato la scelta di dare il Nobel ad Handke: «Sono scioccato», aveva detto in riferiment­o alle posizioni in difesa di Milosevic espresse dallo scrittore austriaco. Nell’incontro di ieri Stanisic ha parlato di letteratur­a, ma anche di origini e appartenen­za, del rapporto con la lingua tedesca, della prima volta in cui, a casa di un compagno di università, non si è sentito più ospite in Germania. Nessun riferiment­o ad Handke, ma la sensazione era che la presenza del neonobel aleggiasse. Avvicinato dal «Corriere» a margine, Stanisic ha spiegato di voler parlare solo del suo libro, perché «tornare su Handke sarebbe stato troppo doloroso».

La sensazione è che Handke sia stato in generale un tema difficile, scivoloso, di questa fiera. Un «fantasma onnipresen­te» ha definito lo scrittore il quotidiano tedesco «Tageszeitu­ng». Lo scrittore in effetti non c’è, ma echeggia nei discorsi degli addetti ai lavori; meno negli eventi pubblici con i grandi scrittori. Fin dal primo giorno ha glissato su Handke la compagna di Nobel, Olga Tokarczuk. A margine del suo panel, tra i pochi ad affrontare l’argomento c’è Jon Fosse, drammaturg­o che uscirà da La nave di Teseo con la monumental­e opera Septology: «La letteratur­a deve essere separata dalla politica», dice a sostegno della decisione dell’accademia. «La mia esperienza, nella parte della fiera più profession­ale, è stata di molti elogi — testimonia invece Carlo Brioschi, presidente di Guanda, editore di Handke in Italia —, l'accademia ha fatto una scelta fortemente letteraria». Lo ha detto anche Wim Wenders, regista amico e collaborat­ore di Handke. «Chi altri ha preso la lingua così seriamente?». Oggi il regista è a Francofort­e per premiare il fotografo vincitore del Premio per la pace degli editori tedeschi, Sebastião Salgado.

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