«Downton Abbey», il film che diverte come la serie tv
Downton Abbey ROMA sbarca al cinema dopo sei stagioni televisive. I puristi (e i maniaci) hanno lamentato che nel passaggio si sono perse sfumature e specificità ma sembrano quelli che si lamentano dei «tradimenti» negli adattamenti libreschi. Il film di Michael Engler è fruibilissimo anche da chi non ha visto nemmeno una puntata tv, anzi forse per loro è ancora più godibile perché lo sceneggiatore Julian Fellowes sintetizza in due ore quello che ha raccontato in sei anni: questa volta ad agitare le acque di casa Crawley è l’arrivo del re Giorgio V e della regina e se la famiglia aristocratica è preoccupata dell’accoglienza, è la servitù ad entrare in agitazione per l’impegno più importante (ed onorifico) della loro vita. Se non fosse che i sovrani sono preceduti da uno stuolo di sussiegosi domestici incaricati del servizio reale, mettendo in un angolo quelli di Downton Abbey. Per altro poco disposti a farsi da parte. Con il consueto scintillio di dialoghi, il film non tradisce i temi della serie — le differenze di classe, il confronto con la modernità, il peso della tradizione, l’orgoglio della nobiltà — cui aggiunge una lancia spezzata in favore della tolleranza (omo)sessuale e della comprensione politica. Ma regalando anche scene dove il divertimento prende il sopravvento su tutto.