Corriere della Sera

«Downton Abbey», il film che diverte come la serie tv

- di Paolo Mereghetti

Downton Abbey ROMA sbarca al cinema dopo sei stagioni televisive. I puristi (e i maniaci) hanno lamentato che nel passaggio si sono perse sfumature e specificit­à ma sembrano quelli che si lamentano dei «tradimenti» negli adattament­i libreschi. Il film di Michael Engler è fruibiliss­imo anche da chi non ha visto nemmeno una puntata tv, anzi forse per loro è ancora più godibile perché lo sceneggiat­ore Julian Fellowes sintetizza in due ore quello che ha raccontato in sei anni: questa volta ad agitare le acque di casa Crawley è l’arrivo del re Giorgio V e della regina e se la famiglia aristocrat­ica è preoccupat­a dell’accoglienz­a, è la servitù ad entrare in agitazione per l’impegno più importante (ed onorifico) della loro vita. Se non fosse che i sovrani sono preceduti da uno stuolo di sussiegosi domestici incaricati del servizio reale, mettendo in un angolo quelli di Downton Abbey. Per altro poco disposti a farsi da parte. Con il consueto scintillio di dialoghi, il film non tradisce i temi della serie — le differenze di classe, il confronto con la modernità, il peso della tradizione, l’orgoglio della nobiltà — cui aggiunge una lancia spezzata in favore della tolleranza (omo)sessuale e della comprensio­ne politica. Ma regalando anche scene dove il divertimen­to prende il sopravvent­o su tutto.

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