Io avrei perso il biglietto vincente della lotteria? Non sognavo da premier, ma il successo della riforma
«Se tu parli del ’91, allora eravamo all’inizio del cammino riformistico. I due anni successivi furono impiegati a preparare il referendum. Vittoria molto dura, anche se ormai la strada era in discesa. Sono passati trent’anni e posso dire che la famosa battuta di aver perso il biglietto vincente della lotteria non mi colpì mai, perché il mio vero biglietto erano stati i referendum. Anche in termini personali, era il successo della riforma. Se stavo facendo una cosa importante era quella di promuovere il referendum e la riforma del Paese, non quella di creare, come pure sognavo, un’area liberal democratica. De Gaulle va ricordato perché ha cambiato la Costituzione francese assai più che per aver creato poi il Partito gollista. Oggi, a trent’anni di distanza, siamo alle prese con l’amarezza di vedere in gran parte disfatto quello che avevamo fatto...».
È vero che Berlusconi ad un certo punto ti propose di fare il candidato alla Presidenza del Consiglio, prima della sua discesa in campo?
«Non è vero. La capacità di Berlusconi di dire bugie e soprattutto di farle credere agli italiani è immensa. È anche facilmente comprensibile, conoscendo Berlusconi come lo abbiamo conosciuto dopo».
Lui non ha mai pensato di portarti nel suo schieramento?
«Mai, assolutamente. Lui ha sempre pensato, legittimamente dal suo punto di vista, a creare e a capeggiare. Onestamente non me lo disse mai».
È lui che ha messo in giro la voce?
«Berlusconi organizzò, subito dopo il referendum del ’93, un pranzo a casa Letta in cui lui propose un’azione comune. Io, che ero contrario all’idea che scendesse in campo perché avevo previsto facilmente il conflitto di interessi e tutto quello che avrebbe significato, cercai di sconsigliarlo. Questo fu il tema. Non si parlò mai di leadership di uno schieramento, che lui voleva per se stesso».
Un’occasione probabilmente persa da tutti fu proprio nel ’94 il non aver fatto un’alleanza tra lo schieramento tuo e di Martinazzoli e la sinistra. La somma dei voti dei due schieramenti era superiore a quello del centrodestra. Che cosa sarebbe successo nella storia italiana?
«Sarebbe stato tutto diverso, non c’è il minimo dubbio. Vista a posteriori la cosa può sembrare facile, in realtà era difficilissima. Era crollato il muro di Berlino ma c’erano decenni di un passato molto diverso, di divisioni profonde, ed è vero anche che c’erano incrostazioni massimalistiche di vecchio stampo dentro il Partito comunista, ed erano molto forti. Fu dopo, con Prodi, che iniziò in quel campo una situazione nuova. Quindi nonostante Occhetto e la sua disponibilità al nuovo, credo che allora sarebbe stata difficilissima un’alleanza e onestamente non so poi quale sarebbe stato il risultato elettorale. Avemmo un risultato elettorale molto inferiore al previsto, ma la nostra convinzione era che ci fosse un pezzo del Paese disposto a votare per un partito di centro ma non un’alleanza a sinistra. Forse i voti non si sarebbero sommati».
Nel ’96 perché non fosti con l’ulivo?
«Fu un fatto personale. Sentii che ormai dovevo dedicarmi alle questioni istituzionali, non alla politica in senso stretto. E da una posizione più neutra noi preparammo un evento di cui oggi possiamo parlare solamente mordendoci le mani: il referendum del ’99 che avrebbe sancito il passaggio a un sistema maggioritario integrale. Fu veramente una catastrofe per il Paese. Nel ’93 avevamo prodotto una svolta profonda. Il ’99 fu la mancata svolta, l’inizio della restaurazione».
Forse va ricordato che mancò il quorum per 150.000 voti, raggiunse il 49,8 dei partecipanti, ma il Sì vinse con il 91,50 per cento.
«Dei due milioni di elettori all’estero solo lo 0,85 ricevette la scheda elettorale. È inutile ricordare. Se affrontiamo il discorso su cosa ha reso possibile la controffensiva di questi anni, non c’è dubbio che l’evento principale è stato quello. Tanto è vero che Franco Marini, nostro tenace e coerente avversario, insieme a parte della sinistra e a Forza Italia, il giorno dopo il referendum disse che si doveva e poteva iniziare la battaglia per la proporzionale. Capii immediatamente la portata della sconfitta che avevamo subito. Il Paese aveva rimesso indietro l’orologio».
Le varie strade che tu hai battuto: Alleanza democratica, poi il Patto Segni...
«Fu una ricerca onesta, ma infelice. Fini ha rappresentato, in certi momenti, la speranza di una destra diversa. Sappiamo da dove veniva, e non mi piaceva, però io ci credevo. Ho conservato un rapporto personale ottimo con lui. Mi dispiace tutto quello che è capitato. Quell’operazione fu un tentativo affrettato e quindi profondamente sbagliato di cominciare ad aggregare quelli che volevano creare in Italia una destra riformista».
E Alleanza democratica invece?
«Alleanza democratica era basata su una speranza che però era oggettivamente una illusione. La velocità del cambiamento in quegli anni ’92, ’93, ’94 ci fece credere che i mutamenti che richiedono anni o decenni potessero avvenire improvvisamente. Alleanza democratica presupponeva la fine del Partito comunista o di quello che ne era seguito. Anche questa si rivelò un’ipotesi azzardata. La storia era andata veloce, ma i processi politici erano più lenti».
Craxi, che al referendum disse «andiamo al mare», con te che rapporto ebbe?
«Quando lanciò la grande riforma eravamo tutti con lui, ma Craxi era un uomo per il quale erano difficili le mezze misure, per come l’ho conosciuto. E quindi, poi, fu una guerra. Lui fu protagonista di un episodio non simpatico: pretese le mie dimissioni dalla presidenza del comitato di controllo dei servizi. Un tipo di guerra che onestamente io non ho mai praticato e che da lui non mi sarei mai aspettato, nella mia ingenua concezione di una politica cavalleresca. Io credo che sia stato il grande errore politico della sua carriera, il referendum del 9 giugno. Fu l’inizio del suo declino politico perché lui passò dal ruolo di innovatore che gli veniva riconosciuto anche dagli avversari a quello del conservatore dello stato presente e della sua evidente malattia istituzionale e politica. Occhetto fece salire il Pds non tanto sul carro dei vincitori, quanto su quello degli innovatori, salvando così le prospettive generali della sinistra. Occhetto merita questo riconoscimento. Lui ha salvato la sinistra italiana, in quel momento. Se gli eredi del Pci si fossero schierati dall’altra parte e fossero stati battuti, tutta la prospettiva della sinistra italiana sarebbe stata compromessa».
Come sarà l’italia del proporzionale?
«Tutti si illudono che tornino De Gasperi e Togliatti. Va peraltro ricordato che De Gasperi cercò di superare il proporzionale con quella legge che fu assurdamente definita truffa. La situazione di allora era del tutto diversa. L’italia aveva un partito quasi al quaranta per cento, un’opposizione al trenta, una divisione dei due schieramenti dettata da eventi mondiali. Partiti fortissimi, solidi, che non sono mai più esistiti e mai più esisteranno. Nell’italia proporzionale ci saranno molti Ghini di Tacco, molti. Un gigantesco crogiuolo di trasformismi. Noi siamo stati accusati o elogiati a seconda dei punti di vista, per aver determinato la fine dei partiti, dei vecchi partiti, come la Democrazia cristiana. Ma questa è un’accusa o un merito ingiustificato. Noi abbiamo immaginato, sulla crisi dei partiti, la democrazia dell’alternanza, con governi decisi dai cittadini. Era l’idea di una uscita in positivo dalla crisi. Ma la crisi dei partiti non l’abbiamo fatta noi. Era già in atto. Solo gli equilibri internazionali la mantenevano in piedi, da troppi anni».
Il grande errore politico di Craxi fu dire «andiamo al mare» al voto del 9 giugno: da innovatore si trasformò in conservatore
Tutti si illudono che tornino De Gasperi o Togliatti, ma nell’italia proporzionale di oggi ci saranno molti Ghini di Tacco