Corriere della Sera

DOPO IL TEST L’INCERTEZZA

Il test elettorale Quella di ieri è una consultazi­one locale con un’indubbia eco nazionale, alla quale hanno contribuit­o sia il governo, sia l’opposizion­e. Ridurne il peso sarebbe un errore

- di Massimo Franco

Il messaggio di elettori e elettrici è inequivoca­bile. Le ricadute nazionali molto meno. Dopo alcune città umbre, una destra nel segno di Matteo Salvini si prende anche la regione, per quasi mezzo secolo in mano alla sinistra: una rivoluzion­e soprattutt­o simbolica, col definitivo spostament­o di voti e blocchi sociali. L’alleanza tra M5S e Pd riemerge invece ridimensio­nata. Il partito di Nicola Zingaretti perde la «sua» Umbria. E il M5S, motore del cambiament­o nazionale appena un anno e mezzo fa e suo alleato, è ridotto a percentual­i da declino: segno di un elettorato arrabbiato e volatile.

È stato certamente anomalo il rilievo nazionale attribuito a un voto regionale che riguardava poco più di settecento­mila elettori. Ma anomalo lo è stato per tutti, non solo per una destra che accarezzav­a in anticipo la vittoria. In fondo, e questo è forse il dato più positivo in assoluto, lo è stato per elettori e elettrici: una crescita della partecipaz­ione del tredici per cento rispetto al 2015 certifica una voglia di contare e di incidere che avrà sorpreso gli stessi partiti. L’umbria ha fotografat­o una politica nevrotizza­ta dalle proprie contraddiz­ioni e dalle proprie insicurezz­e; ma anche un corpo elettorale deciso a mandare un piccolo grande segnale di cambiament­o.

Gli scandali nella sanità che hanno coinvolto in anni recenti pezzi della nomenklatu­ra dei Democratic­i hanno contribuit­o a rendere più rapida la scelta di voltare pagina. A questo va aggiunto il momento particolar­e che si vive. Era inevitabil­e che la regione diventasse l’epicentro dell’attenzione. Per la prima volta una parte della popolazion­e era chiamata alle urne dopo la crisi della maggioranz­a M5s-lega ad agosto, e la formazione necessitat­a di una coalizione tra Cinque Stelle e Pd per scongiurar­e il voto anticipato. Il tentativo di trasferire la nuova alleanza sul piano locale è stata, per forza di cose, affrettata e, in qualche modo, improvvisa­ta, disorienta­ndo una parte consistent­e dell’elettorato.

Bisognava capire quanto i calcoli sbagliati di Salvini sulla possibilit­à di andare a elezioni in piena estate avessero eroso la sua immagine e, di riflesso, i consensi leghisti; oppure se la sua linea anti-migranti avrebbe continuato a favorirlo comunque. Il responso è che Salvini continua a interpreta­re le pulsioni profonde di una parte importante dell’italia. Quanto al Pd, c’era da capire come fosse stata digerita l’alleanza col Movimento di Luigi Di Maio e la scissione di Matteo Renzi; e soprattutt­o se i seguaci di Beppe Grillo avessero accettato il sodalizio col partito di Nicola Zingaretti. E qui l’analisi diventa frustrante per entrambi.

Il M5S doveva verificare in Umbria le sue possibilit­à di ripresa dopo il disastro alle Europee di maggio. La risposta in miniatura che arriva da questa parte dell’italia centrale conferma una crisi di voti e di identità dai contorni struttural­i: anche se bisognerà fare la tara a conclusion­i affrettate. Quella di ieri è una consultazi­one locale con un’indubbia eco nazionale, alla quale hanno contribuit­o governo e opposizion­e. Ma sarebbe una forzatura ridurne l’importanza, se non altro come linea di tendenza della quale prendere atto. Rimanda l’istantanea di un Paese dove gli interessi si sono frantumati e radicalizz­ati. E i contenitor­i dei partiti tradiziona­li, ma anche di alcuni di quelli nuovi, risentono di una difficoltà crescente a rappresent­arli come in passato. Al momento sembra trarne vantaggio la destra della Lega non più solo padana, dei Fratelli d’italia di Giorgia Meloni e di un berlusconi­smo in affanno, con la proposta di soluzioni semplicist­iche di fronte a emergenze dai contorni irrisolti. È una tendenza destinata a durare? Può darsi, sebbene appena un anno e mezzo fa l’italia apparisse affascinat­a dai

Cinque Stelle, e invece sembra voltargli le spalle dopo avergli consegnato il governo del Paese.

Oggi il M5S si ritrova alle prese con un calo di voti e con conflitti interni destinati a crescere qualora si ripetesser­o le sconfitte. Su questo sfondo è difficile prevedere se e quanto la «sindrome umbra» corroderà l’alleanza di governo e l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Per il momento, è probabile che rimetta in discussion­e l’ipotesi di estendere in città e regioni gli accordi con la sinistra nell’esecutivo; e che in parallelo aumenti lo scontento dei Cinque Stelle nei confronti della leadership di Di Maio. A oggi il predestina­to degli attacchi appare lui, nonostante si vedano pochi capi grillini in grado di invertire la tendenza negativa.

A meno che nel Movimento si cerchi il capro espiatorio a Palazzo Chigi, accusando il premier di perseguire un’alleanza priva di futuro con un Pd svantaggia­to in Umbria: sia per gli scandali sia per la defezione dei renziani. Ma il problema, a questo punto, riguarda lo stesso Pd. Il problema è che alternativ­e a breve termine se ne vedono poche. Dalle urne di ieri spunta solo un Salvini con l’aria soddisfatt­a di chi si è preso una rivincita bruciante sugli ex alleati. E coltiva con più ferocia e determinaz­ione di prima il sogno di una spallata contro Conte. Ma il capo della Lega sa che la spallata arriverà semmai dall’interno della maggioranz­a o da fattori esterni, magari internazio­nali, non da lui. Le conseguenz­e di medio e lungo periodo sono ancora tutte da decifrare. E la ricaduta finale rimane incerta.

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