La resistenza del premier: sarebbe un errore fermarsi ora
Conte: non basta la sconfitta in una regione che ha il 2 % della popolazione nazionale
«Non è un test nazionale» ROMA e da oggi, per il governo, «non cambia nulla». È il mantra con cui Giuseppe Conte prova a tenere lontane da Palazzo Chigi le ripercussioni della grande «botta», che va al di là delle previsioni più fosche. Il premier, che ha trascorso la domenica in famiglia «senza aspettare i risultati», tirerà dritto anche di fronte al crollo della fu roccaforte «rossa». Come se non avesse sentito Salvini annunciare da ogni piazza «l’avviso di sfratto» al governo. E come se non avesse visto che, nella foto simbolo dei leader giallorossi, Renzi non compare.
«Non è un voto sul governo», è la formula con cui Conte prepara la resistenza. Per quanto abbia avuto cura di separare le sorti dell’umbria da quelle di Palazzo Chigi, per scongiurare una crisi in piena sessione di bilancio, il premier esce indebolito dal primo test politico. Se non altro per non aver portato valore aggiunto all’alleanza M5S, Pd, Leu. E ora in gioco non c’è solo la tenuta del governo, c’è quello che Conte chiama l’«esperimento». La costruzione di una coalizione per il futuro, che tenga insieme, alle prossime Regionali e oltre, gli ex acerrimi nemici che oggi lo sostengono. «Sarebbe un errore — difende il progetto Conte — interrompere questo esperimento per via di una Regione che ha il 2% della popolazione nazionale».
l’aver paragonato l’umbria a Lecce non ha portato bene al mancato presidente, Vincenzo Bianconi. Eppure Conte non cambia registro: «Se avessi voluto fare campagna elettorale avrei girato porta a porta per un mese, 24 ore al giorno». Invece ha reso omaggio al re del cachemire Cucinelli, ha fatto il pieno di selfie e calorie a Eurochocolate e si è sottoposto al rito della foto «storica» a Narni. Tutto qui. Tanto da aver deluso Di Maio, che gli aveva chiesto di «metterci la faccia».
La resa dei conti è nell’aria. «Si vince e si perde insieme», ha avvertito il ministro degli Esteri. E adesso anche Conte dovrà assumersi, per quota parte, il peso della sconfitta. Franceschini, il capo delegazione del Pd che interpreta i desiderata del Quirinale, chiede agli alleati di non farsi «gli sgambetti». Per il ministro della Cultura, l’alleanza con i 5 Stelle è l’unica carta per essere competitivi con una destra che punta a «trasformare le paure in odio». Per Zingaretti, costruire un’alleanza strategica con il M5S è «un obbligo morale».
Ma il fuoco amico è già iniziato. Conte è nel mirino di Renzi. I 5 Stelle sono dilaniati. Di Maio teme di finire sotto processo, medita di non siglare più alleanze con il Pd e potrebbe mettere in discussione il governo. A sua volta, il capo del M5S è atteso al varco dai nemici interni, che dopo averlo lasciato solo in campagna elettorale sono pronti a contendergli la leadership. Anche Zingaretti sa di dover pagare un prezzo, visti i maldipancia e i dubbi dei dem sensibili alle sirene di Renzi, strategicamente ostile al patto con il diavolo. E se a gennaio venisse giù anche l’emilia Romagna? L’unica alternativa a Conte, avverte Zingaretti, sarebbero le urne.
Gli equilibri
Resa dei conti nell’aria Per il M5S Palazzo Chigi dovrà assumersi le sue responsabilità