Corriere della Sera

La resistenza del premier: sarebbe un errore fermarsi ora

Conte: non basta la sconfitta in una regione che ha il 2 % della popolazion­e nazionale

- di Monica Guerzoni

«Non è un test nazionale» ROMA e da oggi, per il governo, «non cambia nulla». È il mantra con cui Giuseppe Conte prova a tenere lontane da Palazzo Chigi le ripercussi­oni della grande «botta», che va al di là delle previsioni più fosche. Il premier, che ha trascorso la domenica in famiglia «senza aspettare i risultati», tirerà dritto anche di fronte al crollo della fu roccaforte «rossa». Come se non avesse sentito Salvini annunciare da ogni piazza «l’avviso di sfratto» al governo. E come se non avesse visto che, nella foto simbolo dei leader gialloross­i, Renzi non compare.

«Non è un voto sul governo», è la formula con cui Conte prepara la resistenza. Per quanto abbia avuto cura di separare le sorti dell’umbria da quelle di Palazzo Chigi, per scongiurar­e una crisi in piena sessione di bilancio, il premier esce indebolito dal primo test politico. Se non altro per non aver portato valore aggiunto all’alleanza M5S, Pd, Leu. E ora in gioco non c’è solo la tenuta del governo, c’è quello che Conte chiama l’«esperiment­o». La costruzion­e di una coalizione per il futuro, che tenga insieme, alle prossime Regionali e oltre, gli ex acerrimi nemici che oggi lo sostengono. «Sarebbe un errore — difende il progetto Conte — interrompe­re questo esperiment­o per via di una Regione che ha il 2% della popolazion­e nazionale».

l’aver paragonato l’umbria a Lecce non ha portato bene al mancato presidente, Vincenzo Bianconi. Eppure Conte non cambia registro: «Se avessi voluto fare campagna elettorale avrei girato porta a porta per un mese, 24 ore al giorno». Invece ha reso omaggio al re del cachemire Cucinelli, ha fatto il pieno di selfie e calorie a Eurochocol­ate e si è sottoposto al rito della foto «storica» a Narni. Tutto qui. Tanto da aver deluso Di Maio, che gli aveva chiesto di «metterci la faccia».

La resa dei conti è nell’aria. «Si vince e si perde insieme», ha avvertito il ministro degli Esteri. E adesso anche Conte dovrà assumersi, per quota parte, il peso della sconfitta. Franceschi­ni, il capo delegazion­e del Pd che interpreta i desiderata del Quirinale, chiede agli alleati di non farsi «gli sgambetti». Per il ministro della Cultura, l’alleanza con i 5 Stelle è l’unica carta per essere competitiv­i con una destra che punta a «trasformar­e le paure in odio». Per Zingaretti, costruire un’alleanza strategica con il M5S è «un obbligo morale».

Ma il fuoco amico è già iniziato. Conte è nel mirino di Renzi. I 5 Stelle sono dilaniati. Di Maio teme di finire sotto processo, medita di non siglare più alleanze con il Pd e potrebbe mettere in discussion­e il governo. A sua volta, il capo del M5S è atteso al varco dai nemici interni, che dopo averlo lasciato solo in campagna elettorale sono pronti a contenderg­li la leadership. Anche Zingaretti sa di dover pagare un prezzo, visti i maldipanci­a e i dubbi dei dem sensibili alle sirene di Renzi, strategica­mente ostile al patto con il diavolo. E se a gennaio venisse giù anche l’emilia Romagna? L’unica alternativ­a a Conte, avverte Zingaretti, sarebbero le urne.

Gli equilibri

Resa dei conti nell’aria Per il M5S Palazzo Chigi dovrà assumersi le sue responsabi­lità

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