Corriere della Sera

Il profeta del Male che voleva uno Stato

Nato in Iraq, l’hobby del calcio scelse la lotta dopo l’invasione Usa Ha guidato l’isis per quasi 10 anni, la sua fine è cominciata a Kobane

- dal nostro inviato ad Al Hol Lorenzo Cremonesi

Abu Bakr al Baghdadi passerà alla storia del radicalism­o islamico per la sua intuizione che occorreva dare una dimensione territoria­le concreta all’utopia sunnita-salafita del Califfato. Ma anche e soprattutt­o per aver inculcato la paura del terrorismo in Europa, condiziona­to i nostri governi, le opinioni pubbliche, scatenato reazioni di difesa contro tutto ciò che è islamico. Per la prima volta dal 1945 l’europa si è sentita sotto assedio, quasi in guerra. Il suo fine era superare il movimentis­mo di Al Qaeda per creare uno Stato da cui muovere i passi verso l’unificazio­ne dell’universo islamico. Oggi muore da sconfitto, con le sue città ridotte in rovina e larga parte dei suoi seguaci tra Siria e Iraq in cella o braccati. La sua stella nel firmamento del radicalism­o jihadista ha brillato meno a lungo di quella di Osama bin Laden. Cinque anni per Baghdadi, dal 2014 al 2019, e invece una decina per il leader di Al Qaeda.

Le loro biografie sono comunque molto diverse. Bin Laden era figlio di una ricca famiglia imprendito­riale saudita, un asceta dedito anima e corpo alla causa, che vide il suo apice con gli attentati negli Stati Uniti l’11 settembre 2001. Al contrario, Al Baghdadi ha origini estremamen­te umili. Nasce col nome di Ibrahim Awwad Ibrahim al Badri nel 1971 a Samarra, città famosa per le sue moschee e per essere punto d’incontro tra sciiti e sunniti. I suoi fedeli raccontano che amava giocare a calcio nel tempo libero. Ma viene anche ricordato che la sua tribù era quella dei Qurayshi, la stessa del profeta Maometto. Elemento che concorre alla sua scelta di studiare teologia islamica all’università di Baghdad. Non è facile. Quegli anni coincidono con quelli d’oro del regime di Saddam Hussein, che in nome del nazionalis­mo laico baathista vede di cattivo occhio i movimenti islamici radicali. Ma è l’invasione Usa del 2003 a spingere l’imam alla lotta armata. Baghdadi si unisce ai gruppi della guerriglia sunnita nella zona di Falluja e Ramadi. Catturato dagli americani agli inizi del 2004, viene chiuso per una decina di mesi nel carcere di Camp Bucca, passato poi alla storia come «l’università dei futuri leader di Isis». Qui entra in contatto con i qaedisti e con lo stesso Al Zarqawi, leader indiscusso di Al Qaeda in Iraq, tanto potente da sfidare l’autorità di Bin Laden. Sono anni di guerra e clandestin­ità. In Iraq gli attentati causano centinaia di migliaia di morti. Le truppe Usa si dissanguan­o nel tentativo di mantenere il controllo del Paese.

Uccisi i massimi leader jihadisti, nel 2010 Al Baghdadi diventa a sua volta capo dell’isis in Iraq.

Ed è lui che nel 2013 insiste per ampliare il movimento alla pletora di gruppi della resistenza siriana che, sotto il tallone di ferro della repression­e del regime di Assad, stanno diventando sempre più radicali. Nasce Isis come lo conosciamo oggi. Nel giugno 2014 si allarga dalla città siriana di Raqqa: i suoi gruppi scelti riescono a prendere Mosul. Quindi scendono come un torrente in piena verso Baghdad. È allora che Al Baghdadi raggiunge il massimo della popolarità e nella vecchia moschea di Al-nuri, nel cuore di Mosul, appare per la prima e unica volta in pubblico per auto-incoronars­i Califfo. Intanto la sua propaganda si affina, cattura adepti tra le periferie delle masse musulmane in Europa.

La pornografi­a della violenza eletta a meccanismo di reclutamen­to con le riprese di decapitazi­oni e torture diffuse sul web ammalia giovani e attira militanti da tutto il mondo. Seguono gli attentati in Europa. Al massimo della sua espansione, il Califfato occupa 88mila chilometri quadrati con oltre 8 milioni di abitanti.

È con la battaglia di Kobane che inizia la sua decadenza. Qui gli americani si alleano con i curdi. In Iraq si crea un fronte comune tra Usa, Iran, curdi ed esercito iracheno. Nel 2017 liberano Mosul, poi Raqqa, nel marzo scorso Isis perde anche l’ultimo bastione di Baghouz. Ad aprile in un video Baghdadi incita alla resistenza. E a settembre invoca blitz per liberare i prigionier­i di Isis, specie nel grande campo di Al Hol. Ma qui ieri la notizia della sua morte è stata accolta nel silenzio.

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La ricomparsa Abu Bakr al-baghdadi durante l’intervista con Al Furqan, voce mediatica dell’isis, lo scorso aprile, a cinque anni dalla sua prima apparizion­e in video(ap)
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Prigionier­e Donne e bambini legati ai guerriglie­ri dell’isis detenuti nel campo di Al Hol, sorvegliat­o dai curdi. Si tratta di circa 71.000 persone, per lo più donne irachene e siriane. Tra queste ci sarebbero 3 volontarie straniere e una italiana

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