Corriere della Sera

Foto in posa, dettagli cruenti e autoelogi Lo show di Donald comandante in capo

Trump usa il raid per ricompatta­re i repubblica­ni e il suo elettorato nella battaglia sull’impeachmen­t

- di Massimo Gaggi

«Era come vedere un film!». Nel momento più difficile della sua presidenza, incalzato da un impeachmen­t che minaccia la sua sopravvive­nza politica, criticato anche dai repubblica­ni per aver abbandonat­o i curdi, con l’eliminazio­ne di Al Baghdadi, Donald Trump prende una boccata d’ossigeno.

L’operazione delle forze speciali viene trasformat­a dal presidente in evento televisivo con 4 obiettivi: consolidar­e il consenso nel suo elettorato; presentare l’impeachmen­t come l’attacco antipatrio­ttico a un presidente che difende l’america; ricompatta­re il fronte repubblica­no, coi «falchi» critici per la sua politica siriana, come il senatore Lindsey Graham, che ieri mattina erano alla Casa Bianca per lodarlo pubblicame­nte; ricucire il rapporto coi servizi, spesso sconfessat­i e ora in grado di svolgere un ruolo-chiave nell’iter dell’impeachmen­t.

Il tutto costruito nei 50 minuti di una straordina­ria diretta televisiva nella mattina domenicale americana. Il presidente illustra con molti dettagli l’operazione degli otto elicotteri, il sorvolo per 70 minuti di aree molto pericolose, i contatti coi governi dei Paesi interessat­i, la scelta di non informare i leader democratic­i del Congresso («dovevamo mantenere il segreto, Washington è piena di spifferi»). Ma, soprattutt­o, insiste sulla fine del fondatore dell’isis raccontand­o delle due mogli cadute, dei tre figli che Al Baghdadi si è portato dietro nei cunicoli sotterrane­i, condannand­oli a morire con lui. Trump lo definisce «un animale codardo» che «è morto come un cane piangendo e gridando» quando, arrivato in fondo al cunicolo, si è fatto esplodere. E, ancora, la perizia del commando che è entrato nel compound sfondando i muri per non cadere nella trappola delle porte, minate. Missione conclusa senza perdite Usa (unico «eroe» il cane che inseguiva Al Baghdadi nel cunicolo, ferito) mentre sul terreno sono rimasti molti combattent­i dell’isis, liquidati da Trump come, «perdenti, marionette spaventate».

I toni sono quelli, ormai consueti, iperbolici e di autoelogio. Ma in un momento così drammatico colpiscono di più: è stato il presidente a dare via libera all’attacco, ma ne parla come se l’avesse condotta in prima persona, racconta di aver seguito tutto dalla Situation

Room e fa distribuir­e una foto molto diversa da quella scattata dal fotografo della Casa Bianca nel 2011, quando fu ucciso Osama bin Laden. Lì il presidente era quasi una figura secondaria, mentre ora l’immagine è da comitato centrale sovietico, con Trump al centro di uno schieramen­to di generali e membri del suo governo.

Trump ringrazia i Paesi che hanno collaborat­o, dalla Turchia alla Russia (ma Mosca nega di aver collaborat­o), i militari e l’intelligen­ce che ha raccolto le notizie. Per ultimi, ringrazia anche i curdi, ma sottolinea soprattutt­o che questo è il coronament­o di un’operazione ordinata da lui fin dal giorno del suo insediamen­to, quasi tre anni fa. Nessuna menzione degli sforzi di Obama e della coalizione antiisis da lui creata. La retorica autocelebr­ativa e il linguaggio crudo sono discutibil­i, ma piacciono al suo elettorato. Il rischio, però, è quello di una corsa sfrenata verso il culto della personalit­à: ieri il presidente ha detto senza ombra di ironia che «l’isis sa usare Internet meglio di chiunque altro, salvo Donald Trump» mentre la sua addetta stampa Stephanie Grisham ha definito l’ex capo di gabinetto John Kelly, ora critico nei confronti del leader, un uomo «incapace di gestire il genio del nostro grande presidente».

Il rapporto coi servizi Il presidente prova anche a ricucire con i servizi segreti, spesso sconfessat­i

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Donald Trump nella Situation Room mentre segue il blitz contro al Baghdadi
1 Robert O’brien, consiglier­e per la sicurezza nazionale;
2 Mike Pence, vice presidente;
3 Il presidente Usa Donald Trump;
4 Mark Esper, capo del Pentagono ;
5 Il capo di stato maggiore interforze Mark Milley
(foto pubblicata dalla Casa Bianca su Twitter)
In posa Donald Trump nella Situation Room mentre segue il blitz contro al Baghdadi 1 Robert O’brien, consiglier­e per la sicurezza nazionale; 2 Mike Pence, vice presidente; 3 Il presidente Usa Donald Trump; 4 Mark Esper, capo del Pentagono ; 5 Il capo di stato maggiore interforze Mark Milley (foto pubblicata dalla Casa Bianca su Twitter)
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La Situation Room della Casa Bianca nel 2011 durante il blitz contro Osama bin Laden: l’allora commander in chief Barack Obama ha il volto tirato, seduto di lato al tavolo, quasi a lasciare il posto di comando al generale Marshall «Brad» Webb, vicecomand­ante delle operazioni speciali. Nella stanza anche l’ex vicepresid­ente Joe Biden e l’allora segretario di Stato Hillary Clinton (Epa)
Nel 2011 La Situation Room della Casa Bianca nel 2011 durante il blitz contro Osama bin Laden: l’allora commander in chief Barack Obama ha il volto tirato, seduto di lato al tavolo, quasi a lasciare il posto di comando al generale Marshall «Brad» Webb, vicecomand­ante delle operazioni speciali. Nella stanza anche l’ex vicepresid­ente Joe Biden e l’allora segretario di Stato Hillary Clinton (Epa)

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