Corriere della Sera

«Paura e proselitis­mo L’europa coinvolta più di ogni altro posto»

- Dal nostro corrispond­ente a Parigi Stefano Montefiori

«Alungo termine, sul piano struttural­e, l’idea di un jihadismo internazio­nale rimarrà, anche se dopo Al Qaeda e l’isis non sappiamo ancora in quale forma. Ma se restringia­mo il campo, l’isis è stato una “bolla”, un fenomeno di impatto enorme per alcuni anni. Oggi quella bolla è scoppiata», dice Olivier Roy, grande specialist­a francese dell’islam.

Qual è stata la particolar­ità dell’isis?

«Questa organizzaz­ione è riuscita in un’impresa straordina­ria, cioè affascinar­e decine di migliaia di giovani europei, americani, russi. Ha fondato una costruzion­e narrativa basata su un’estetica del terrorismo e della violenza che ha avuto un impatto considerev­ole in una certa parte della gioventù occidental­e».

Soprattutt­o in Europa?

«Da noi si sono avuti gli effetti più importanti. Per l’europa non conta poi molto il fatto che esistano emirati islamici in Ciad o nello Yemen, ma che giovani nati e cresciuti qui, spesso convertiti, abbiano commesso attentati e siano andati a fare la jihad in Siria completame­nte affascinat­i dalla morte. Nel 95% degli attentati commessi in Europa i terroristi sono morti. L’ultimo alla prefettura di polizia a Parigi».

Dopo l’uccisione di Al Baghdadi la fascinazio­ne per l’isis durerà?

«Le azioni dell’isis hanno avuto un impatto strategico nullo, non abbiamo avuto il World Trade Center, ma l’effetto di terrore è stato massimo. Io credo però che adesso la grande costruzion­e narrativa si sia sgonfiata».

Le modalità della morte del leader sono importanti in quest’ottica?

«Sì, molto. La sua è una morte da miserabile, non certo da eroe. Ricorda quella di Bin Laden, dove non c’è alcun spazio per l’eroismo».

Il presidente Trump non a caso ha detto «è morto come un cane, come un vigliacco».

«Sì, anche se Trump non ha alcun merito in quest’operazione ma solo la fortuna di poterne trarre beneficio proprio nel momento in cui ha deciso il ritiro dal Nord della Siria. Comunque, la morte di Al Baghdadi e il modo in cui si è prodotta sono un colpo fatale all’isis, che era già in grande difficoltà. Stiamo assistendo alla fine del mito. È un colpo fatale perché l’immagine dell’isis ne esce distrutta, e l’isis si fondava soprattutt­o sull’immagine e i colpi mediatici».

Una fine annunciata?

«Ne abbiamo visto i segni in modo empirico nell’abbassamen­to del livello dei terroristi negli ultimi due anni. Non ci sono state azioni in stile Bataclan, condotte da persone strutturat­e, nessuna rete sofisticat­a. Passano all’azione solo dei marginali, persone psicologic­amente fragili che cercano la morte, figure isolate che possono anche essere molto pericolose, lo abbiamo visto con i cinque morti alla prefettura, ma comunque non i profession­isti del Bataclan».

Vede all’orizzonte strutture pronte a succedere all’isis?

«Per il momento è troppo presto. Poi il crollo del mito rivoluzion­ario non equivale alla fine immediata del terrorismo, lo abbiamo visto anche con le Brigate rosse in

Italia: per vent’anni qualcuno ha continuato a commettere attentati, ma niente di paragonabi­le agli anni di piombo. Inoltre, non vedo come una nuova organizzaz­ione potrebbe fare meglio dell’isis, che ha avuto un’aura di magia: la conquista di un territorio immenso, una propaganda molto abile con i codici della cultura giovanile. Per fortuna quella fase è finita».

Cosa rimane in Europa di quell’epoca?

«La radicalizz­azione del dibattito. La questione del velo è cominciata in Francia trent’anni fa, ma oggi qualsiasi segno religioso musulmano viene subito collegato al terrorismo. È considerat­o radicale e sospetto pregare, smettere di bere alcol, mettersi il velo. L’isis non c’è più, ma i suoi effetti si fanno ancora sentire. Finiti, speriamo, gli attentati spettacola­ri, resta la criminaliz­zazione della pratica religiosa».

La fine del mito È morto da miserabile, non da eroe E la sua fine assesta un colpo fatale all’isis, che si fondava molto sui media La sua immagine ne esce distrutta

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Esperto Olivier Roy, 70 anni, islamista francese. Suo il saggio «Global Muslim»

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