Collu: «Galleria Nazionale, un 2020 al femminile»
ROMA Quando il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini, il 12 ottobre, ha rinnovato le direzioni del tedesco Eike Schmidt (Uffizi di Firenze), del francese Sylvain Bellenger (Capodimonte a Napoli) e di Cristiana Collu (Galleria Nazionale a Roma), la battuta che girava era: ha confermato i tre stranieri.
«Ma no — commenta lei, fieramente sarda — qualche volta mi sento estranea solo perché è una posizione che ti consente di osservare con un po’ di distanza quello che stai facendo».
Non parla spesso Cristiana Collu, una rivelazione quando diventò giovanissima direttrice del Museo Man di Nuoro, poi 4 anni alla guida del Mart di Rovereto, dal 2015 al vertice della nuova Galleria d’arte Moderna di Roma. «La mia voce si sente poco, è una sfida, quello che fai parla a voce alta» dice sorridendo. Di cose ne ha fatte molte. Nel 2016 il taglio delle opere permanenti e il superamento dell’ordine cronologico hanno fatto gridare allo scandalo. Quella rivoluzione ha un nome, «Time is Out of Joint» (il tempo è scaduto), citazione da Shakespeare: una mostra che ha rilanciato la Galleria, con nuovi accostamenti, niente sale dedicate, luce e spazi aperti nell’edificio disegnato da Cesare Bazzani. In quei giorni si parlava del nuovo allestimento della Tate a Londra. Il Moma ha appena riaperto dopo 4 anni e un investimento di 450 milioni di dollari, con le opere concentrate «a tema». È lo stesso percorso? Scuote la testa: «La collezione della Galleria conta quasi ventimila opere, possiamo esporne 500. Abbiamo ripensato la rotazione e soprattutto aperto i depositi che ora sono visitabili». Sui prestiti Cristiana Collu è chiara: «Bisogna farli se c’è un progetto culturale coerente o uno scambio di pari interesse» e soprattutto ha introdotto il pagamento. «Chi vuole una nostra opera deve convincerci col progetto e pagare fees che nel 2019 hanno raccolto 400.000 euro».
Ha un bilancio in ordine e il suo Museo dal 2015 ha portato la velocità di pagamento da un anno a 24 ore, i servizi aggiuntivi fruttano 800.000 euro mentre il personale è sceso di 40 unità. La formula? «L’entusiasmo del gruppo e la volontà di prendersi cura del museo. Soprattutto con chi viene a trovarci: prima ti accolgo, ti faccio vedere il bookshop, ti offro uno spazio libero e solo dopo ti chiedo un biglietto. Il turista deve sentire suo questo luogo, deve essere lasciato sbagliare sala e aver voglia di tornare». E i visitatori sono in costante crescita — oltre i 216.000 l’anno — compresi i tanti che hanno scelto il museo come luogo in cui trascorrere del tempo, nell’area accoglienza o nella Sala delle Colonne. «Però — insiste Cristiana Collu — i criteri per giudicare i direttori non possono essere solo i numeri. Bisogna valutare i progetti nel medio periodo, non dai risultati immediati».
Roma è una città complessa, grande dieci volte Parigi, con un patrimonio museale unico. Vi parlate? «Si può fare sempre meglio. Penso al rapporto con Villa Borghese e la Galleria, e Valle Giulia, col Museo Etrusco e le Accademie straniere, il Maxxi, l’auditorium. Esiste una centralità culturale di Roma e del Mediterraneo, con sensori sensibilissimi. Forse cambierà, ma dobbiamo rivendicarla».
Il futuro? «Nel 2020 un grande progetto sulla questione femminile. Se la prima donna che Dio ha creato fu tanto forte da mettere il mondo sottosopra da sola, tutte insieme saranno capaci di rigirarlo e rimetterlo in piedi». Ma questo lo diceva già nel 2016. «Appunto».
Su 20 mila opere possiamo esporne 500 Abbiamo ripensato le rotazioni
I prestiti? Chi vuole qualcosa da noi deve convincerci col progetto e pagare