Non solo il mare Mediterraneo Anche le Alpi sono piene di croci
Le storie di chi tenta di arrivare in Francia nel libro di Maurizio Pagliassotti (Bollati Boringhieri)
Non è soltanto il mar Mediterraneo a far delle sue acque un cimitero popolato dai cadaveri dei migranti che sui barconi hanno tentato di fuggire dalla miseria, dalla schiavitù, dalla violenza del vivere nelle loro patrie, dalle guerre. Anche le Alpi sono fitte di croci. Lontano dal mare color cobalto, uomini, donne e bambini arrivati sulle montagne d’europa dal Niger, dall’etiopia, dal Senegal, dalla Guinea, dalla Sierra Leone, dalla Costa d’avorio, sono riusciti a superare i divieti e a vincere la forza della natura, ma ai più è toccata la stessa sorte delle vittime del mare: stroncati dall’insopportabile fatica della fuga, dai ghiacciai, trasformati in statue rese trasparenti dal gelo.
I salvati, riusciti a inserirsi nei nuovi mondi, vengono il più delle volte angariati dall’odio degli abitanti del Continente europeo, dal loro rancore. («I negri puzzano», «Bianchi padroni negri schiavi», «Negri al rogo»). Spesso non sono soltanto gli insulti razzisti con le croci uncinate pennellate sui muri, frutto del sovranismo d’oggi, a impaurire i migranti.
In Africa hanno subito violenze materiali e morali di ogni genere: difficili da dimenticare gli orribili spettacoli di morte, le mogli e le sorelle, tra l’altro, stuprate davanti ai loro occhi nei lager della Libia. Non pensavano di essere accolti a braccia aperte in Europa, ma neppure di essere così disprezzati e feriti in Paesi civili, con secoli di storia alle spalle. È caduta la speranza, hanno vinto la paura, lo smarrimento. E pensare che l’occidente, privo di una politica dell’immigrazione, in crisi com’è, avrebbe proprio bisogno di quelle braccia, di quelle fresche energie.
Dopo il mare tempestoso e mortale sono dunque le Alpi foderate di misteri come le loro forme, le grotte, le cascate, il miraggio dei migranti. L’intento è di arrivare in Francia e raggiungere poi l’eldorado del centro e del nord Europa. Un giornalista, Maurizio Pagliassotti, piemontese che conosce bene le montagne di casa, ha scritto sui migranti, riusciti a varcare i sabbioni senza confini del deserto e il mare, un libro inquietante, un diario, una scombinata narrazione: Ancora dodici chilometri. Migranti in fuga sulla rotta alpina, pubblicato da Bollati Boringhieri, con una prefazione di Andrea Bajani.
Quei dodici chilometri del titolo sono la speranza, la salvezza e anche la morte. Separano Claviere, l’ultimo paese italiano prima del confine, da Briançon, il primo paese francese, attraverso il passo del Monginevro.
Pagliassotti va a vedere, sembra un profugo anche lui. Dal libro spuntano cupe storie di uomini che dopo la prigionia in Libia e il viaggio in mare hanno risalito chissà come le regioni italiane e sono arrivati sulle Alpi.
Il libro è una sorta di documentario senza macchina da presa. Uomini e cose, fatti e memorie. Un cadavere divorato dai lupi e dalle volpi, i gendarmi, ora tolleranti, ora feroci, che appaiono e scompaiono come fantasmi, i resti delle batterie di artiglieria di guerre passate, le fortificazioni smangiate dal tempo, i migranti-soldato (jeans, scarpe da ginnastica, giubbe di plastica) che marciano. Barcellonette, Oulx, una festa di capodanno, don Rito, il prete amico dei poveri, inviso ai potenti che contano — la chiesa serrata dai lucchetti, i vetri spaccati, l’immondizia sul presepio —, la terribile morte di Derman Tamimou, la ragazza Giulia che ha ancora un cuore, il piccolo borgo di Monêtier-les-bains circondato da foreste di larici, il rifugio di Briançon, finalmente.
Il viaggio
Dall’africa si risale l’italia e si raggiungono le montagne. Ma la vita qui è ancora a rischio
«Italia? No, mai più. Troppo razzismo». (E un po’ di vergogna in chi ascolta, commenta l’autore del libro).
I soldi anche qui, tra le rupi e la paura che non abbandona mai, sono il governo del mondo. E poi il calvario di Matthew, un profugo romanzesco, dal villaggio da dove partì a oggi che parla, dolente, senza reticenze: il migrante «Mangia regolarmente perché paga. Beve perché paga. Le torture, gli stupri, le sevizie toccano in sorte ai poveri. Anche qui. Se hai i soldi compri tutto, non solo la libertà».
Il cronista cammina cammina. Che destino avranno i migranti accasciati, nascosti nel buio sinistro, sempre in allarme?
«Il suono della notte si tinge del canto di gufi e civette, canti lugubri che spezzano il rumore dei miei passi incerti».