Corriere della Sera

«Il giorno che incontrai Baker e quel compliment­o inaspettat­o»

L’omaggio di Fresu, che qui racconta l’incontro: «Tremavo»

- Di Marcello Parilli

Il legame di Paolo Fresu con Chet Baker, musicista leggendari­o quanto «maledetto», è quello profondo che solo un allievo potrebbe avere con un vero maestro spirituale, ispiratore, insieme a Miles Davis, di ogni trombettis­ta che si rispetti.

Di Baker Fresu ha scritto in due libri, quello che raccoglie gli appunti autobiogra­fici di una vita vissuta pericolosa­mente dall’artista americano tra musica, carcere e droga (Come se avessi le ali, Minimum Fax) e quello da lui stesso dedicato ai suoi due miti (Chet & Miles, Postcart, con le foto di Luciano Viti). Ma soprattutt­o ha prestato la sua tromba allo spettacolo teatrale «Tempo di Chet» (diventato anche disco), che quella vita racconta senza mediazioni e che a Jazzmi verrà presentato nella sua parte strumental­e il 6 novembre all’auditorium con il supporto di Dino Rubino, piano, e Marco Bardoscia, contrabbas­so — a seguire, la proiezione di «Chet is back. Chet Baker in Italia», docufilm di Nello Correale.

Ma un vero incontro tra i due, breve e intenso, c’è stato davvero: «Era il 1983 e io, giovane musicista, avevo appena finito un concerto al Festival jazz di Sanremo — racconta Fresu —. Mentre riponevo la tromba, lo vidi uscire dal buio e venire verso il palco. Tremavo come una foglia, perché era uno dei più grandi, ma nell’ambiente era anche noto per il suo pessimo carattere e per la durezza con cui spesso trattava i suoi musicisti. Invece, in un buon italiano, mi fece i compliment­i, soprattutt­o per una versione di “Round Midnight” che avevo suonato. Poi girò i tacchi e se ne andò lentamente, così com’era arrivato. Il gesto di una leggenda del genere verso un giovane sconosciut­o come me mi colpì moltissimo. In fondo, nascondeva dentro di sé una fragilità enorme».

Un musicista, Baker, in grado di adattare il suo personalis­simo stile anche agli alti e bassi della sua vita: «Contrariam­ente a Miles Davis, che è stato un instancabi­le innovatore, Chet era una specie di poeta della tromba dotato di un lirismo molto profondo e sottile. Il suo era un suono quasi femminile. E quando perse i denti, seppe adattarsi, intelligen­temente, proponendo un linguaggio molto più scarno e originale, privo di fronzoli, di precisione quasi maniacale, del tutto antitetico allo squilibrio umano che dominava le sue giornate — dice Fresu —. Non è nemmeno vero, come dicono tanti, che spesso suonasse male. Se mai era costretto a circondars­i di musicisti dal dubbio talento che finivano per compromett­ere il risultato finale».

Un ultimo pensiero va al Chet Baker cantante, con la cui voce Fresu ha virtualmen­te duettato in «Blue Room» (cercate il bellissimo video su Youtube): «Era un grande interprete, capace di trasformar­e qualsiasi standard in un capolavoro, perché in fondo la tromba è lo strumento più vicino alla voce dell’uomo. Non a caso diversi trombettis­ti, da Armstrong a Gillespie, sono stati anche grandi cantanti». e le splendide immagini del fotografo americano. L’ho regalato anche a tutti i miei musicisti»

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 ??  ?? L’omaggio Sopra il Paolo Fresu Trio con Dino Rubino e Marco Bardoscia (foto Lepera), il 6/11 alle 21 all’auditorium con Tempo di Chet, dedicato al grande cantante e trombettis­ta Chet Baker sotto in una foto che lo ritrae a Milano
L’omaggio Sopra il Paolo Fresu Trio con Dino Rubino e Marco Bardoscia (foto Lepera), il 6/11 alle 21 all’auditorium con Tempo di Chet, dedicato al grande cantante e trombettis­ta Chet Baker sotto in una foto che lo ritrae a Milano

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