Quelle storie minime di Rai3 elevate a racconto televisivo
Quando Angelo Guglielmi teorizzò e mise in pratica il concetto di tv verità, forse non immaginava che molti anni dopo questo stesso principio sarebbe stato, con i dovuti annacquamenti e riammodernamenti, il pilastro intorno al quale costruire l’identità della Rai3 degli anni Duemila. Il direttore Stefano Coletta (non sempre mi piace la sua tv ma è uno dei pochi ad avere ancora una visione editoriale) ha avuto l’idea di valorizzare questa radice antica dandole una forma contemporanea attraverso il genere del factual. Storie comuni, reali, quotidiane che vengono elevate a materiale di racconto televisivo in una sorta di minimalismo autocelebrativo. Già la vita è così piena di racconti minimi che, in tutta sincerità, dalla tv mi aspetterei qualcosa di più. Su questa «cucina casalinga», Coletta ha costruito lo scheletro del canale, anche alla luce di quello che s’immagina un principio economico: il factual ha dei costi molto più bassi di altri generi della tv tradizionale e si presta particolarmente a fare molte puntate per il daytime e la seconda serata. Va in questa direzione anche il nuovo That’s Amore. Storie di uomini e altri animali, ambientato in una clinica veterinaria di Roma dove sfilano giorno dopo giorno le vicende di piccoli e grandi animali da curare ma soprattutto le ansie, i sentimenti e spesso le ossessioni dei loro padroni, in un bestiario di varia umanità (dal lunedì al venerdì alle 20.15, replica il sabato alle 18.25). La regia è di Duccio Forzano. È indubbio che Rai3, molto più degli altri principali canali Rai, abbia oggi un’immagine definita, la forza di un brand capace di sostenere esperimenti di programma in cui, anche quando la scrittura è a volte molto fragile (come nel caso di That’s Amore), è il progetto complessivo della cornice di rete in cui sono inseriti a rendere credibile l’operazione.
Però, questo diffuso antropomorfismo nei confronti degli animali proprio non lo capisco.