Corriere della Sera

Il premier: «Non generalizz­iamo» Il timore di tensioni continue

Conte vuole un raccordo con il Pd esteso alle elezioni sul territorio per evitare che i 5 Stelle implodano

- Di Massimo Franco

«Ascoltare il messaggio che è arrivato dall’umbria, senza generalizz­are...». La parola d’ordine ufficiale che arriva da Palazzo Chigi agli alleati è nel segno della continuità. Ma il modo in cui la declina il premier Giuseppe Conte per ora appare in contrasto stridente col Movimento Cinque Stelle in versione Luigi Di Maio. Forse perché per il ministro degli Esteri il voto di domenica è stato la seconda disfatta in cinque mesi. E il timore di una rivolta del grillismo duro e puro nei confronti della sua leadership gli suggerisce di archiviare l’esperiment­o delle alleanze a livello locale col Pd. Ma l’ottica di Conte è diversa.

Per lui, l’alleanza col partito di Nicola Zingaretti è essenziale per andare avanti. E nel momento in cui Di Maio seppellisc­e quell’ipotesi in regioni e comuni, Conte chiede ai partiti di prendere tempo per ragionare più a freddo. L’impression­e è che ritenga prematura e troppo a caldo la reazione del capo del M5S; e che senza un raccordo col Pd esteso localmente, presto vacillerà pericolosa­mente anche il suo esecutivo. Non condivide l’ossessione dei sondaggi, né la sindrome della sconfitta che serpeggia tra i 5 Stelle per l’umiliazion­e umbra, con percentual­i a una cifra.

Ritiene che la vera vittoria di Matteo Salvini e di Giorgia Meloni starebbe proprio nella capacità di introietta­re nella maggioranz­a la loro analisi del Paese: un’italia «vera», di destra, opposta a un governo minoritari­o di usurpatori e di trasformis­ti tra sinistra e M5S. In quel «non generalizz­iamo» offerto agli alleati si indovina implicitam­ente un invito a non chiudersi le porte in faccia reciprocam­ente in vista delle Regionali in Emilia Romagna, fra tre mesi; a non dare per persa una lunga guerra di posizione che deve scontare una prima, bruciante sconfitta ma non è finita.

Il destinatar­io dell’incoraggia­mento sembra più un Di Maio spaventato dalla fronda interna, che un Zingaretti rinfrancat­o dalla tenuta sostanzial­e del Pd sopra il 22 per cento: nonostante scandali umbri e scissione di Matteo Renzi. Il tentativo è di piegare il capo contestato del M5S a una lettura più locale e equilibrat­a del voto; a non attribuirg­li il significat­o di un’indicazion­e nazionale che per coerenza andrebbe tradotta in un abbandono della maggioranz­a. Quando Di Maio afferma che stare al governo fa male al

Movimento, si tratti di Lega o Pd, sembra seguire proprio questo ragionamen­to.

Al punto da riproporre l’identità stantìa e ormai superata di un grillismo «terzo», fuori dai poli di destra e di sinistra; e da riesumare come antidoto alle liti continue col Pd di queste settimane l’ipotesi famigerata di un «contratto» simile a quello che ha condotto allo schianto dell’esecutivo con la Lega. Ma il solo fatto di evocarlo riflette la confusione nella quale vive il vertice del M5S, punzecchia­to dal fondatore Beppe Grillo; e la difficoltà a capire come la crisi di agosto abbia inaugurato un’altra fase, che Conte abbraccia a dispetto delle accuse di trasformis­mo, mentre Di Maio la subisce.

Palazzo Chigi mostra apprension­e soprattutt­o per questa precarietà quasi prepolitic­a, psicologic­a. Al di là delle dichiarazi­oni di entusiasmo immutato, di un percorso destinato a durare fino al 2023, il premier ha di fronte il compito immane di rassicurar­e un Movimento traumatizz­ato dalla paura di avere esaurito il suo ciclo. È questo

La reazione Palazzo Chigi è preoccupat­o dalla reazione «a caldo» del Movimento

L’orizzonte

Il traguardo del 2023 potrebbe essere a rischio dopo il voto in Emilia-romagna

conflitto a poter terremotar­e il governo, molto più dell’offensiva e dei successi di Salvini che pure conta sulla profonda conoscenza delle debolezze degli ex alleati. Vincerla si rivela difficile perché si combatte dentro la stessa maggioranz­a, e in particolar­e nel mondo grillino. A preoccupar­e il governo non è tanto una sconfitta annunciata, seppure con proporzion­i in parte imprevedib­ili. A colpire e far temere il peggio per Conte e la legislatur­a è la reazione dei perdenti del Movimento. Il «Vietnam parlamenta­re» che il governo voleva esorcizzar­e è stato in realtà la normalità quotidiana: dalla rottura a freddo del Pd da parte dell’ala renziana, ai contrasti sulla manovra finanziari­a. Il dubbio non è se la maggioranz­a riprenderà a governare, ma se comincerà a farlo. Altrimenti, il traguardo del 2023 indicato da Conte ieri per rianimare le truppe si rivelerà un miraggio dopo le Regionali di gennaio in Emilia-romagna

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A Roma Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, 55 anni, ieri all’incontro con i sindaci organizzat­o da Poste Italiane

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