Corriere della Sera

Per il Quirinale è la manovra la vera prova del fuoco E se c’è la crisi subito alle urne

Il Colle contrario a tentativi per un nuovo esecutivo

- Di Marzio Breda

ROMA Dopo quasi due mesi di crisi serpeggian­te, la catastrofi­ca batosta subita dall’alleanza di governo alle elezioni in Umbria mette in allarme anche il Quirinale. Il presidente della Repubblica non può ovviamente sfiduciare un esecutivo in carica, come pretendere­bbe ad esempio la leader di Fratelli d’italia, Giorgia Meloni. Non può — costituzio­nalmente — almeno finché questa maggioranz­a, per quanto meticcia ed improvvisa­ta in extremis dopo la rottura di Matteo Salvini lo scorso agosto, regge in Parlamento. Insomma, Sergio Mattarella non si presterà a manovre per «nuovi scenari subito», sabotando (ed è la richiesta dei vincitori di domenica) o al contrario puntelland­o e blindando gli attuali assetti politici.

Starà alla finestra, dunque, in attesa di verificare quali effetti produrrann­o i postumi del voto umbro sui due principali partner dell’alleanza. E la vera prova del fuoco, per il Colle, è piuttosto vicina: il varo della legge di Bilancio, su cui il Pd e il Movimento 5 Stelle hanno espresso posizioni spesso divaricate, se non apertament­e conflittua­li. Possono permetters­i di far sfociare in guerriglia le tensioni latenti nelle ultime settimane? O addirittur­a prendersi il lusso di vagheggiar­e un rimpasto immediato? O magari di chiedere persino un cambio alla guida di Palazzo Chigi, ad appena 55 giorni dalla conferma di Giuseppe Conte in veste di premier?

Dopo che i democratic­i hanno già subìto la pesante scissione delle truppe di Matteo Renzi registrand­o in Umbria un non così drammatico 22,3 per cento, l’incognita maggiore ricade soprattutt­o sul divisissim­o fronte dei pentastell­ati. Fra i quali si è aperta una questione di leadership (per tacere del cannibalis­tico gioco di invidie e gelosie personali), fondata sulle sconfitte inanellate in sequenza dal capo politico Luigi Di Maio. Una più grave dell’altra. Con il risultato di far precipitar­e il Movimento, in un solo anno e mezzo, dal 27 per cento alla disastrosa soglia del 7 per cento.

Il punto politico sta qui. E dimostra quanto la stessa esistenza in vita del governo sia divenuta problemati­ca. Ecco cosa preoccupa Mattarella, che per «dovere d’ufficio» cerca di garantire stabilità al Paese. Un timore più terra terra ce l’ha anche la gran parte dei parlamenta­ri, che per spirito di autoconser­vazione non vorrebbero certo abbandonar­e lo scranno appena conquistat­o. Parlamenta­ri i quali sanno da tempo che, nell’ipotesi di una caduta del governo, il presidente non si adopererà per trovare alternativ­e in modo di prolungare questa tormentata legislatur­a fino al 2022. Si tornerà alle urne — e Mattarella lo ha fatto sapere con toni severi a chi ha incontrato di recente — senza tenere conto dei calcoli su quali forze di Camera e Senato eleggerann­o il suo successore al Quirinale.

È questa una materia discrimina­nte, su cui si almanacca fin da prima della nascita dell’esecutivo gialloross­o. In ogni caso, c’è da prevedere che il capo dello Stato vorrà presto vedere chiaro sulle intenzioni dei partiti. Per lui la massima andreottia­na secondo la quale «meglio tirare a campare che tirare le cuoia», non vale. L’italia ha troppi problemi aperti, che richiedono responsabi­lità.

Le intenzioni dei partiti Mattarella vorrà presto capire quali sono le vere intenzioni dei partiti, poiché troppi sono i problemi del Paese in attesa di risposta

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