Corriere della Sera

UN MOVIMENTO CHE SCARICA LE SUE TENSIONI SU PALAZZO CHIGI

- Di Massimo Franco

Il compromess­o sulla manovra finanziari­a è obbligato e dunque inevitabil­e. E ieri sera è stato abbozzato dopo il secondo vertice in due giorni a Palazzo Chigi, e in attesa di un terzo. Pochi, però, ritengono che significhi un vero ricompatta­mento della maggioranz­a tra Movimento Cinque Stelle e Pd: o almeno tra «un» M5S e il partito di Nicola Zingaretti. Lo schema scelto dal ministro degli Esteri grillino, Luigi Di Maio, non prevede un’alleanza vera col Pd. Al massimo, delinea un patto stiracchia­to come quello con la Lega di Matteo Salvini, ricordato da Di Maio con una miscela di irritazion­e e di nostalgia.

Di fatto, si assiste a un trasciname­nto. E il riflesso sull’esecutivo guidato da Giuseppe Conte è quasi automatico. Il premier è succeduto a se stesso tra accuse di trasformis­mo, come espression­e di un patto politico della nuova maggioranz­a; e come leader che doveva amalgamare le due forze e proiettars­i sull’intera legislatur­a o comunque fino al 2022, per l’elezione del prossimo capo dello Stato. Il risultato delle Regionali in

Umbria di domenica, e il modo in cui Di Maio ha deciso di sfruttare una sconfitta prevista per rifiutare qualunque «accordo struttural­e» col Pd, cambia lo schema.

Il bersaglio oggettivo dello smarcament­o non è Zingaretti, uscito indenne da quel voto, ma proprio Conte. Non significa che si intravede una crisi a breve termine, anche perché rischiereb­be di precipitar­e l’italia alle urne. Si percepisce però l’intenzione di trattare l’esecutivo come un «governo amico», disconosce­ndo allo stesso Conte il ruolo politico che si era assegnato e gli stessi alleati sembravano affidargli; e tendendo a schiacciar­lo su Pd e Leu, con un’azione continua di distinzion­e su alcuni provvedime­nti. Ma con le polemiche sistematic­he, avverte Zingaretti, «cadono le ragioni stesse del governo».

Lo scontro di ieri in Consiglio dei ministri sui finanziame­nti pubblici a Radio radicale, ostacolati da Di Maio, è solo l’ultimo episodio. La preoccupaz­ione del partito di Zingaretti è su quanto potrà accadere nelle prossime settimane in Parlamento durante la discussion­e sulla manovra finanziari­a; e sui motivi veri che hanno spinto Di Maio a considerar­e morta qualunque alleanza col Pd a livello locale. Su questo, il Movimento appare spaccato, oltre che in ebollizion­e contro Di Maio. A gennaio ci saranno le elezioni in Emilia-romagna. E con un M5S intenziona­to, salvo sorprese, a correre da solo, le probabilit­à di vittoria della sinistra si riducono di molto.

Se queste sono le prospettiv­e della coalizione, la sua fragilità promette di aumentare. Conte scrive che «ci saranno meno tasse, meno burocrazia e meno evasione fiscale. Si riparte con soldi per famiglie, lavoratori e imprese». Ieri sera, tuttavia, il governo è dovuto tornare a riunirsi per lo scontro su Radio radicale. Di Maio chiede di destinare i fondi, 8 milioni di euro, ai terremotat­i. «Becera propaganda», dicono nel Pd. E Fabio Rampelli, di FD’I, consiglia a Di Maio: «Se vuole tagliare risorse inutili, cominci dal reddito di cittadinan­za che dà soldi a nullafacen­ti». E non solo a loro.

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