UN MOVIMENTO CHE SCARICA LE SUE TENSIONI SU PALAZZO CHIGI
Il compromesso sulla manovra finanziaria è obbligato e dunque inevitabile. E ieri sera è stato abbozzato dopo il secondo vertice in due giorni a Palazzo Chigi, e in attesa di un terzo. Pochi, però, ritengono che significhi un vero ricompattamento della maggioranza tra Movimento Cinque Stelle e Pd: o almeno tra «un» M5S e il partito di Nicola Zingaretti. Lo schema scelto dal ministro degli Esteri grillino, Luigi Di Maio, non prevede un’alleanza vera col Pd. Al massimo, delinea un patto stiracchiato come quello con la Lega di Matteo Salvini, ricordato da Di Maio con una miscela di irritazione e di nostalgia.
Di fatto, si assiste a un trascinamento. E il riflesso sull’esecutivo guidato da Giuseppe Conte è quasi automatico. Il premier è succeduto a se stesso tra accuse di trasformismo, come espressione di un patto politico della nuova maggioranza; e come leader che doveva amalgamare le due forze e proiettarsi sull’intera legislatura o comunque fino al 2022, per l’elezione del prossimo capo dello Stato. Il risultato delle Regionali in
Umbria di domenica, e il modo in cui Di Maio ha deciso di sfruttare una sconfitta prevista per rifiutare qualunque «accordo strutturale» col Pd, cambia lo schema.
Il bersaglio oggettivo dello smarcamento non è Zingaretti, uscito indenne da quel voto, ma proprio Conte. Non significa che si intravede una crisi a breve termine, anche perché rischierebbe di precipitare l’italia alle urne. Si percepisce però l’intenzione di trattare l’esecutivo come un «governo amico», disconoscendo allo stesso Conte il ruolo politico che si era assegnato e gli stessi alleati sembravano affidargli; e tendendo a schiacciarlo su Pd e Leu, con un’azione continua di distinzione su alcuni provvedimenti. Ma con le polemiche sistematiche, avverte Zingaretti, «cadono le ragioni stesse del governo».
Lo scontro di ieri in Consiglio dei ministri sui finanziamenti pubblici a Radio radicale, ostacolati da Di Maio, è solo l’ultimo episodio. La preoccupazione del partito di Zingaretti è su quanto potrà accadere nelle prossime settimane in Parlamento durante la discussione sulla manovra finanziaria; e sui motivi veri che hanno spinto Di Maio a considerare morta qualunque alleanza col Pd a livello locale. Su questo, il Movimento appare spaccato, oltre che in ebollizione contro Di Maio. A gennaio ci saranno le elezioni in Emilia-romagna. E con un M5S intenzionato, salvo sorprese, a correre da solo, le probabilità di vittoria della sinistra si riducono di molto.
Se queste sono le prospettive della coalizione, la sua fragilità promette di aumentare. Conte scrive che «ci saranno meno tasse, meno burocrazia e meno evasione fiscale. Si riparte con soldi per famiglie, lavoratori e imprese». Ieri sera, tuttavia, il governo è dovuto tornare a riunirsi per lo scontro su Radio radicale. Di Maio chiede di destinare i fondi, 8 milioni di euro, ai terremotati. «Becera propaganda», dicono nel Pd. E Fabio Rampelli, di FD’I, consiglia a Di Maio: «Se vuole tagliare risorse inutili, cominci dal reddito di cittadinanza che dà soldi a nullafacenti». E non solo a loro.