Corriere della Sera

Il Movimento ha chiuso un ciclo E Di Maio lavora a un nuovo progetto

Il rischio del conflitto con Grillo e Casaleggio

- Di Francesco Verderami

E se i problemi non fossero la fragilità della leadership, gli errori di governo, le divisioni interne? Se la crisi del M5S fosse piuttosto legata alla natura stessa del Movimento, che per aver mangiato la mela del potere ed essersi contaminat­o nelle alleanze con altri partiti si è condannato al declino? Sono interrogat­ivi che Di Maio si pone e a cui sta cercando di dare risposta. Certo non è il voto in Umbria ad averglieli sollevati. Già in estate infatti aveva esaminato lo studio scientific­o di un istituto internazio­nale di ricerca, che indicava i Cinque Stelle ben al di sotto della quota accreditat­a dai sondaggi: non il 17% ma il 10% con trend negativo.

Si tratta di un processo irreversib­ile? È questo il tema, ed è ovvio che il capo del Movimento lavori per scongiurar­lo e tentare di invertire la tendenza. Nel farlo però prende atto che un ciclo si è chiuso e bisogna inventarne un altro, che è indispensa­bile rigenerars­i con un nuovo corso così da tentare di restare protagonis­ti sulla scena politica: senza questa cruda rappresent­azione — che presuppone un cambio di fase radicale — la sorte sarebbe segnata e il M5S si condannere­bbe al progressiv­o logorament­o. La convinzion­e è che si consumereb­be giorno dopo giorno, fino a spegnersi.

Ecco di cosa discute Di Maio con una task force composta da alcuni fedelissim­i. Immaginare di tornare alle percentual­i di un anno fa è considerat­a una suggestion­e non realistica. Di qui la riflession­e e lo studio di un nuovo progetto che — per come va maturando — potrebbe entrare in conflitto con la linea di Grillo e Casaleggio junior. Perché il nodo non è la creazione di una struttura collegiale per la gestione del Movimento, e (per ora) non è in gioco neppure la continuazi­one dell’esperienza di governo con il Pd.

Il punto è il futuro del Movimento, siccome il passato non tornerà: quella storia — è opinione comune nelle riunioni — è già finita. Per certi versi l’analisi coincide con quella svolta molto tempo addietro da Casaleggio junior, quando il M5S era ancora in spinta propulsiva e la marea grillina montava. Allora il figlio del fondatore volle confrontar­si con un protagonis­ta della Prima Repubblica. Strano ma vero, e in quella occasione Casaleggio jr parlò dei limiti del Movimento, quasi lo consideras­se un fenomeno politico con data di scadenza per una questione genetica.

Forse per questo (o anche per questo), Di Maio avrebbe voluto andare al voto dopo la crisi del governo gialloverd­e, in modo da consolidar­e i consensi rimasti. Ma la posizione assunta da Grillo e Casaleggio jr — che considerav­ano la mossa una sorta di Opa sul Movimento — fu un muro invalicabi­le. Ora si apre un’altra partita e si intuisce quale sia la strategia del ministro degli Esteri, sta nella frase pronunciat­a alla festa del M5S: «Noi saremo l’ago della bilancia per i governi dei prossimi quindici anni». Più che una fase nuova, è parsa l’idea di una cosa nuova, in contrasto con la linea rappresent­ata in

Parlamento da Fico.

Si capisce perché Di Maio non accetti l’alleanza struttural­e con il Pd, e perché miri ad andare da solo alle Regionali: l’obiettivo è drenare quanto più possibile del voto identitari­o ed evitare di restare incastrato in una nuova formula del centrosini­stra, di cui non sarebbe che una costola. Se Zingaretti denuncia che il capo dei grillini «ha cambiato idea» sull’accordo, dall’altra sponda si osservano con sospetto le manovre di avviciname­nto dem al loro congresso, che sarebbe funzionale a imbrigliar­e il Movimento. D’altronde non è solo Salvini a scommetter­e su una scissione di M5S: in molti ambiscono a quel bottino.

Stretto nella tenaglia, e marcato da Casaleggio jr e Grillo, Di Maio cerca la sua «terza via». Le difficoltà del progetto ancora in fase embrionale

Le scadenze

L’idea che il passato non tornerà. La «terza via» potrebbe partire in primavera

sono però acuite dalla posizione assunta da Conte. Tra i due c’è un problema politico e insieme personale, legato anche al fatto che il premier si sarebbe «montato la testa». Un’affermazio­ne nata da certe battute che Conte avrebbe fatto e che sono state riferite al capo del Movimento: «Quando si tratterà di eleggere il presidente della Repubblica e si cercherà un candidato — avrebbe detto il presidente del Consiglio — me lo verranno a chiedere».

Per quanto la convivenza sia diventata difficile, è certo che il governo reggerà alle tensioni della Finanziari­a e anche ai test elettorali in Emilia-romagna e Calabria, a prescinder­e dal loro risultato. Diverso sarà l’impatto delle Regionali di primavera, perché un esito negativo potrebbe indurre Di Maio a rompere gli indugi pur di non perdere la dote residua di consensi rimasta. In nome del «primum sopravvive­re».

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