Corriere della Sera

Tutte le maschere che sfidano il mondo

Da Hong Kong a Santiago, da Bagdad al Libano: i manifestan­ti del 2019 hanno molto in comune Compreso il volto coperto

- Di Michele Farina

«L a nostra rivoluzion­e non aveva testa, ma corpo e anima sì»: la psichiatra Sally Moore descrive così la Primavera araba del 2011 in Egitto. Le rivolte spuntate di recente in giro per il mondo hanno qualcosa in comune con le sorelle di otto anni più grandi: da Hong Kong al Sudan, dal Libano al Cile, appaiono come ribellioni senza leader. Senza una testa, ma spesso con la maschera.

Anche se a Hong Kong il potere ha proibito manifestaz­ioni a volto coperto, la «moda» è

rimbalzata altrove: Beirut, Santiago, Bagdad, Barcellona. Strategie condivise: in Catalogna per esempio hanno copiato da Hong Kong non solo le maschere ma anche il blocco dell’aeroporto. Lo stile esprime una vena social «orizzontal­e». Con risvolti pratici: ci si nasconde il volto per non essere schedati e arrestati. Così come la mancanza (se non altro

apparente) di una struttura definita rende più difficile per le autorità smantellar­e la catena di comando. Ogni movimento ha bisogno di simboli (i gilet gialli in Francia). Le maschere non attirano le critiche di protagonis­mo riservate ai simboli in carne ed ossa (lo sa bene Greta Thunberg). La spersonali­zzazione porta alla rivolta «liquida». I giovani di Hong Kong hanno sposato la massima del conterrane­o Bruce Lee: «Siate come l’acqua». Certo, poi ci sono anche le arti marziali, che sul fronte opposto possono diventare repression­e guerresca. È stato così in Sudan, con i militari che hanno cercato di silenziare a forza

Senza leader

Non avere leader può essere un vantaggio all’inizio, poi diventa una debolezza

di massacri la rivolta senza leader guidata dagli ordini profession­ali (dai medici agli insegnanti) che aveva scalzato il dittatore al-bashir chiedendo democrazia. Il pugno di ferro non ha avuto successo: perché i manifestan­ti non hanno ceduto, e perché il compromess­o raggiunto tra militari e civili non allarma i Paesi protettori del regime di Khartoum (monarchie del Golfo comprese).

La maschera della repression­e varia il suo ghigno da luogo a luogo. A Bagdad le forze di sicurezza hanno ucciso centinaia di manifestan­ti a piazza Tahrir. In un’altra piazza che porta lo stesso nome e inneggia alla Liberazion­e, quella del Cairo, sappiamo com’è finita la veloce Primavera egiziana: la rivolta «senza testa» ha lasciato spazio a movimenti più strutturat­i come i Fratelli Musulmani, favorendo poi il golpe militare dell’attuale presidente al-sisi. Sul quotidiano francese Libération ha scritto Gilbert Achcar, docente di relazioni internazio­nali a Londra, che la «lezione liquida» di Bruce Lee e la mancanza di strutture rappresent­ative «può essere un vantaggio all’inizio di una rivolta, ma diventa una debolezza a lungo termine». Con o senza maschera, meglio che ci sia una testa attaccata al corpo.

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