Corriere della Sera

CERTEZZA DEL PROCESSO PER I «LEONI DA TASTIERA»

- Di Caterina Malavenda

Luciano Violante, qualche giorno fa sul Corriere (sabato 26 ottobre), auspicando lo sviluppo di una responsabi­le cultura del digitale, ha scritto che nella rete oggi c’è libertà senza responsabi­lità. E un pubblico ministero, nel chiedere l’archiviazi­one di un procedimen­to per diffamazio­ne a mezzo social, ha sostenuto che gli utenti di internet non danno alcun peso a quel che viene postato, termini scurrili o denigrator­i compresi, consapevol­i che si tratta solo di un modo per sfogare rabbia e frustrazio­ne senza alcun controllo. Se il Gip accoglierà la richiesta, ritenendo non lesivo il post incriminat­o, ci sarà una nuova causa di non punibilità non codificata, l’imbecillit­à dell’indagato; e l’uso dei social, che per il codice penale è un’aggravante, diventerà ancor più libero e irresponsa­bile.

Poi, però, la politica d’improvviso si accorge dei numerosi insulti che da tempo la senatrice Liliana Segre riceve via internet e, sull’onda dell’indignazio­ne, il presidente del Consiglio dichiara di voler intraprend­ere una lotta senza quartiere, per contrastar­e il linguaggio dell’odio, che circola su quegli stessi social.

E così via a una nuova commission­e parlamenta­re per il contrasto del razzismo, dell’intolleran­za, dell’antisemiti­smo e per la lotta contro l’istigazion­e all’odio e alla violenza. Un programma vasto, come disse De Gaulle a chi gli proponeva di lanciare una campagna per eliminare i cretini.

Qui non si tratta, però, solo di cretini, né di persone che suscitano pena o di malati bisognosi di cure, come la senatrice li ha definiti pubblicame­nte, sulla scorta della sua terribile esperienza personale e della saggezza che anima ogni suo intervento, ma di un fenomeno da non sottovalut­are. Colpisce, infatti, indiscrimi­natamente e solleva un’ondata così alta di improperi da intimidire e spesso annientare vittime deboli e indifese. Se ben orchestrat­a, una campagna d’odio può persino dissuadere chi scrive per mestiere, resistendo a cause milionarie e a minacce fisiche, a esporsi con tesi impopolari o posizioni dissonanti dal pensiero dominante, fino a indurli a chiedersi se valga la pena affrontarl­a o se non sia meglio tacere. Una sottile forma subliminar­e di censura, che potrebbe negli anni a venire orientare l’informazio­ne, eliminando su base volontaria, però, le notizie scomode e, dunque, manipoland­o il consenso.

Oggi, intanto, i messaggi contrastan­ti, che la cronaca offre ogni giorno, finiscono per ringalluzz­ire i leoni da tastiera, tanto che, sempre più spesso, rinunciano all’anonimato, la loro originaria caratteris­tica peculiare, perché ormai certi dell’impunità, incoraggia­ti dalle difficoltà per identifica­rli con certezza, da un certo lassismo nel perseguirl­i e, soprattutt­o, aiutati dalla enorme mole di processi che blocchereb­bero i tribunali, se si applicasse rigidament­e il codice penale. Così la differenza finisce spesso per farla l’importanza o la visibilità della vittima, ma anche la mancanza di risorse umane e tecniche, la scarsa deterrenza delle sanzioni applicabil­i e la lunghezza dei processi, di tal che l’effetto non voluto è la sostanzial­e depenalizz­azione di quelle condotte e l’eventuale incriminaz­ione è come un terno al lotto.

Non di nuove norme c’è bisogno, dunque, ma di utilizzare meglio quelle vigenti perché, fatte sempre salve le opinioni, anche le più forti e dissacrant­i, spesso chi digita commette reati che vanno dalla diffamazio­ne aggravata alla sostituzio­ne di persona, dalle minacce alle molestie, dall’incitament­o all’odio razziale allo stalking, almeno fino a che non verranno depenalizz­ati; ma la fa franca per mancanza di tempo, voglia, motivazion­e e risorse. E fa piacere sapere che la Procura di Milano avrebbe avviato già da un anno un’indagine, ancora contro ignoti però, sulle minacce e le molestie alla senatrice Segre, ma quante sono le denunce per minacce e molestie via internet rimaste nei cassetti?

È necessaria, dunque, una maggiore certezza del diritto: ogni persona deve poter valutare e prevedere le conseguenz­e giuridiche della propria condotta; e se una norma, quale che sia, viene violata, deve essere applicata la pena prevista. Non sarà la panacea di tutti i mali, ma se passasse chiaro e forte il messaggio che chi delinque sarà identifica­to – e ben vengano, se attuabili, tutte le proposte per farlo –, processato e, se colpevole, condannato, quei leoni da tastiera potrebbero smettere di battere sui loro tasti e la libertà sulla rete, un bene da proteggere a ogni costo, potrebbe non esser più sinonimo di impunità.

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