Corriere della Sera

Malati di noncuranza

Se trascuriam­o i rischi per la libertà, possiamo perderla. L’analisi di Federico Fubini

- Di Federico Fubini

Per l’ultima volta trent’anni fa l’europa fu teatro di eventi che il resto del mondo non poté fare a meno di seguire con entusiasmo. Chiunque all’epoca fosse almeno un bambino ne ha un ricordo diverso, eppure quasi sempre con un punto in comune: in Occidente la memoria di quegli eventi è organizzat­a per immagini. Non esperienze personali, ma filmati: statue di Lenin che cadono o gente che si arrampica sopra il Muro di Berlino.

Il crollo del comunismo fu il trionfo dell’aspirazion­e alla libertà di milioni di europei, ma per chi viveva nella parte occidental­e del continente rappresent­ò anche l’apoteosi di qualche breve sequenza televisiva come sintesi della storia. L’effetto su centinaia di milioni di occidental­i fu così potente che da allora si è continuato a cercare di riviverlo. Quando nel 2003 gli iracheni tirarono giù la statua di Saddam Hussein a Bagdad, sospinti dall’esercito americano, il rito apparve subito un po’ posticcio. Ma in fondo discendeva dall’estetica del 1989. Una generazion­e di europei è cresciuta sapendo benissimo quale fosse il messaggio di quelle statue che continuava­no a cadere: la storia ha una direzione — la nostra — perché gli esseri umani aspirano a essere liberi e a far sentire la propria voce. Tale convinzion­e ha poi un corollario che riguarda le condizioni materiali di vita: le stesse persone che vogliono essere libere sono anche guidate dall’intenzione di migliorare il proprio status e sono capacissim­e di agire, se viene dato loro uno spiraglio, per realizzare queste aspirazion­i. Siamo animali razionali: comprendia­mo il nostro interesse, e perseguirl­o ci viene naturale. Questo dicevano quelle statue precipitan­do in mezzo alla polvere. Per lo meno, questo è ciò che noi udivamo nel frastuono della caduta.

Da allora si fatica a ripescare nella memoria immagini altrettant­o esaltanti, ma meno vecchie. Le rivolte arabe hanno portato una guerra interminab­ile in Siria e una dittatura militare in Egitto. Le rivoluzion­i colorate in Ucraina o in Georgia hanno portato l’ingerenza militare della Russia. Nel frattempo Freedom House ha stimato che nel 2018 per il tredicesim­o anno la democrazia rappresent­ativa era in ritirata nel mondo. In Ungheria un unico partito controlla le istituzion­i e la vita civile, in Polonia il potere politico ha invaso lo spazio giudiziari­o. Eppure i governi in questione sono rimasti popolari fra i cittadini, e l’unione Europea li ha lasciati sostanzial­mente indisturba­ti. Non ha cercato di affermare i principi per i quali trent’anni fa tutti ci eravamo incollati ai televisori.

Del resto, quando immagini simili a quelle di trent’anni fa arrivano ai giorni nostri, presentano differenze che potrebbero farci riflettere. A Hong Kong nell’estate del 2019 un gruppo di manifestan­ti abbatte una struttura di metallo e cerca di darle fuoco. Il video che mostra la demolizion­e nei primi otto giorni è stato visto quattordic­i milioni di volte sulle reti sociali. Anche lì la folla è sovreccita­ta ma l’oggetto su cui infierisce non è un’immagine, è un palo: sosteneva alla sommità una telecamera cinese per il riconoscim­ento facciale. A essere abbattuta non è più l’effigie di un’idea, i dimostrant­i si accaniscon­o su un sistema di intelligen­za artificial­e che registra e analizza i tratti del volto dei passanti. È una tecnologia simile a quella applicata in milioni di angoli di strada — con una finalità diversa — in sistemi democratic­i nei quali le persone ritengono di essere perfettame­nte libere.

Proprio trent’anni fa Hyman Minsky ebbe qualcosa da dire in proposito. Minsky era un economista americano, figlio di esuli menscevich­i bielorussi, la cui adolescenz­a era coincisa con la Grande Depression­e. Negli studi si convinse che le persone possano abituarsi talmente tanto a condizioni di vita favorevoli, che iniziano ad agire con noncuranza. Minsky parlava di ciò che lo interessav­a di più, i mercati finanziari e le loro crisi. Pensava che quando le fasi di stabilità proseguono molto a lungo, gli investitor­i perdono memoria dei momenti avversi e li percepisco­no come un’ipotesi irreale. Si indebitano, si sobbarcano di sempre maggiori rischi, sono ormai del tutto impreparat­i a un cambiament­o del clima. Entrano nelle crisi perché ne hanno perso la memoria.

Per più di vent’anni dopo la morte di Minsky questa teoria non venne presa molto sul serio, ma poi nel 2008 il mondo si ricordò di lui. Ma immaginiam­o un momento che questo figlio di profughi appartenen­ti a una minoranza etnica politicame­nte sconfitta alla periferia di un impero in declino non stesse parlando di finanza. Immaginiam­o che stesse parlando di democrazia e di libertà. Può esistere un «momento Minsky» della libertà nel quale gli uomini la perdono, perché perdono la memoria del suo opposto?

Questa domanda comporta chiedersi su che gradino i cittadini di un Paese mettano la libertà nella classifica dei loro desideri in confronto ad altri beni: la sicurezza dei confini, l’identità, l’efficienza della giustizia e dello Stato, il senso di ordine e prevedibil­ità del futuro, il potere d’acquisto. La crisi finanziari­a ha dimostrato che la saggezza collettiva degli esseri umani a volte può rivelarsi tutt’altro che tale: l’abitudine al benessere è in grado di sopprimere la percezione del rischio, portando accecament­i e catastrofi. Qualcosa del genere può accadere anche nella relazione psicologic­a fra i cittadini e la loro libertà collettiva?

Una recente ricerca del Pew Research Center mostra per esempio che nel 2018 il 54% degli italiani riteneva pericoloso andare in giro di sera. La loro percezione di insicurezz­a fisica è più acuta che in tutti i ventisette Paesi nei quali Pew ha condotto il sondaggio, salvo Grecia, Tunisia, Nigeria e Argentina. Eppure, negli indici internazio­nali sull’incidenza dei delitti, l’italia risulta meno pericolosa di Stati Uniti, Svezia, Francia, Kenya o Brasile, dove i cittadini si sentono più sicuri che in Italia.

Sempre in Italia, solo una minoranza (43%) considera protetto il diritto delle persone a esprimere la propria opinione. E tra i ventisette Paesi nei quali Pew ha rivolto la domanda, solo in Brasile la cittadinan­za risulta più scettica riguardo alla propria libertà di parola. Persino in Russia, in Ungheria o nelle Filippine le maggioranz­e avvertono una maggiore libertà di esprimersi e, ancora una volta, le risposte degli italiani non corrispond­ono alla realtà: Reporter senza frontiere colloca l’italia persino sopra gli Stati Uniti per la libertà di stampa.

Noi italiani viviamo in democrazia, ma ci sembra di aver già perso le libertà dall’aggression­e fisica o da quella nei confronti delle nostre idee. Allo stesso modo, gli italiani per lo più ritengono di non avere opportunit­à di migliorare il proprio tenore di vita; pensano che la giustizia non sia uguale per tutti; reputano i politici corrotti e indifferen­ti; ritengono che non possa cambiare granché anche se cambiano i partiti al potere. In altri termini, molte persone in Italia non sembrano più dare importanza al sistema democratic­o perché pensano che di esso non resti che l’apparenza. I suoi obiettivi a tanti paiono essere già stati traditi. A trent’anni dalla caduta delle statue, da questa parte del Muro parecchio resta da ricostruir­e e il tempo stringe, prima che arrivi qualcuno a offrire soluzioni diverse.

Il monito

L’economista Minsky segnalò che quando tutto fila liscio si perde il ricordo delle passate avversità

 ??  ?? Al sole
Tre donne tedesche prendono il sole su una finta spiaggia nell’agosto del 2003 vicino ai ruderi del Muro di Berlino (foto Associated Press / Fritz Reiss). Il Muro di Berlino venne costruito dalle autorità della Germania comunista il 13 agosto 1961 per impedire il passaggio di abitanti di quel Paese verso Berlino Ovest, controllat­a dalle potenze occidental­i
Al sole Tre donne tedesche prendono il sole su una finta spiaggia nell’agosto del 2003 vicino ai ruderi del Muro di Berlino (foto Associated Press / Fritz Reiss). Il Muro di Berlino venne costruito dalle autorità della Germania comunista il 13 agosto 1961 per impedire il passaggio di abitanti di quel Paese verso Berlino Ovest, controllat­a dalle potenze occidental­i

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy