La scintilla che si fece carne Indagine a due sulle Scritture
Verso la fine dell’appassionante libro intitolato Il grande romanzo dei Vangeli (Einaudi), scritto a quattro mani da Corrado Augias, ateo e non credente ma impegnato da tempo a indagare con sincero interesse nel messaggio cristiano, e da Giovanni Filoramo, laico, professore emerito di Storia del cristianesimo all’università di Torino, i due autori si interrogano sull’argomento centrale della fede cristiana, e cioè l’argomento della «carne», nelle sue scandalose manifestazioni, incarnazione e risurrezione, divisive rispetto a qualsiasi altra religione o credo. Non sono certo i primi. Esistono duemila anni di biblioteche dedicate alla interpretazione, alla giustificazione o alla spoliazione razionale di questi misteri. Tuttavia, come del resto nelle pagine che precedono, l’empito e la chiarezza che sostengono da una parte l’ansia illuminista di Augias, dall’altra la sapienza colta di Filoramo, accendono una scintilla.
Dopo aver letto, dunque, il famoso incipit «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio…» del Vangelo di Giovanni (Vangelo che entrambi gli autori mostrano di prediligere apertamente, non fosse altro che per la sua indiscutibile bellezza), Augias, che nella lettura si è fermato ai versetti: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta», pone la seguente domanda: «Dov’è l’incarnazione?».
L’incarnazione — risponde semplicemente Filoramo — si trova subito dopo, al versetto 14: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Insomma, la Parola di Dio, Verbum Dei, assume la carne dell’uomo. Essa pone la sua tenda tra gli uomini. Ma, a differenza dell’antico Testamento,
al quale rimanda il simbolo della tenda, anticipazione del sancta sanctorum del Tempio di Gerusalemme nel quale abitava la Gloria di Dio, la tenda del Nuovo Testamento è il corpo umano in carne e ossa. Così, persino nel Vangelo più spirituale dei quattro, a cominciare dal suo Prologo teologico, viene chiarito senza possibilità di equivoci, che «l’inviato celeste, per comunicare con gli uomini, ha assunto il loro corpo e la loro carne». Prosegue, quindi, Filoramo: «Anche il Risorto ha un corpo, e lì comincia la storia della cristologia, la riflessione sulla complessa natura del Cristo risorto, che, per Giovanni, è nel contempo uomo e Dio». In questo senso, secondo il professore emerito, la Maddalena (alla quale, insieme ad Augias, ha dedicato bellissime parole), bisogna dire che «per
Giovanni, la prima cristiana è lei, e cioè la prima che crede nel Risorto», benché prima veda soltanto una tomba vuota, e soltanto in un secondo momento Gesù appaia a lei e a Maria, vada loro incontro, e dica: «Salute a voi».
Agli occhi offuscati dalle lacrime e dalla pesante nebbia che le impedisce di penetrare la verità, e a tutto l’episodio di Maria Maddalena, dubbiosa di fronte al «giardiniere» e credente, dedica una bellissima omelia, la numero 77, Severo, vescovo di Antiochia fra il V e il VI secolo d.c., condannato per eresia, in quanto seguace, seppure a modo suo, delle teorie monofisite, dal Sinodo di Costantinopoli del 536. Questa omelia, per la prima volta tradotta dal greco e pubblicata, a cura di Gianmario Cattaneo, da Città Nuova, doveva servire a dirimere ogni incertezza sulla Risurrezione, in particolare riguardo ai quattro momenti distinti dell’episodio, narrati nei quattro Vangeli, e alla presenza dei quattro personaggi. La spiegazione finale che dà Severo, tuttora venerato come santo dalla Chiesa siriaca, dopo la ricostruzione puntigliosa, è la seguente: «Poiché ci sono quattro momenti distinti e altrettanti tragitti delle donne al sepolcro, lo Spirito Santo fece sì che ogni evangelista descrivesse uno di questi momenti. Disponendo secondo l’ordine degli eventi quanto è stato scritto da ciascuno di loro, si può creare un’unica armonia e un unico corpo di tutta la storia, come se uno solo e non più persone avessero scritto il tutto».
Sappiamo che questa omelia fu pronunciata di notte. Forse, per richiamare al fatto che la risurrezione avvenne di notte. «La risurrezione — dice Severo a chi lo ascolta nel buio che possiamo immaginare, con lo sgomento che possiamo immaginare (e mai, quasi mai, avvertiamo oggi nelle nostre chiese, nelle quali si parla di tutto, meno che del mistero) — avvenne in quella notte divina, ma nessuno ha indicato l’ora, che fu ignota a tutti eccetto al Dio risorto e al Padre, il solo a conoscere il Figlio così come egli stesso è conosciuto dal Figlio, e allo Spirito, che conosce ogni cosa, anche le profondità di Dio».
Risurrezione
Un ateo e uno storico laico si interrogano sul tema centrale della fede cristiana