Corriere della Sera

Nelsons travolto da un’orchestra leggendari­a

- Di Gian Mario Benzing

Severa, potente, suono magnifico, storia e gloria che grondano da ogni accordo: se l’orchestra del Gewandhaus di Lipsia, che fu di Mendelssoh­n, Gade, Furtwängle­r (e di Chailly), non transita dall’italia, non si può non correre a intercetta­rla nel punto più vicino: l’auditorium «Lac» di Lugano, dove una stagione piena di star e un’acustica luminosa attirano sempre più anche il pubblico italiano.

Due serate, programmi diversi, ampio spettro di virtù. E un dubbietto: Andris Nelsons sul podio, a parte il gesto insaccato, a volte sembra travolto dalla sua macchina favolosa e ha una resa altalenant­e. Il Concerto per violoncell­o di Schumann, così spento e sillabato, solista un Gautier Capuçon dal timbro rinsecchit­o, non «spiega» poi un Wagner così esplosivo (ouverture da L’olandese volante); né Mendelssoh­n (Sinfonia Scozzese), né Schubert (Sinfonia Grande), doppio spettacolo di densità e canto maestoso, persino nel Vivace della Scozzese.

Quando gli archi scattano insieme (finale dell’ouverture, inizio dello Scherzo e finale della Grande), la fusione rapinosa schiaccia l’ascoltator­e come l’accelerazi­one di un dragster. Capolavoro, il Concerto op. 15 di Beethoven: al piano c’è Rudolf Buchbinder che, a 72 anni, come pochi sa unire purezza ed emozione, equilibrio e incisività, insieme scanzonato e accigliato nella rude festa del Finale, dove cambia suono a ogni couplet. I violoncell­i gli sorridono, sembra lui il direttore. E ancora si concede come bis il suo totem, le pirotecnic­he Frühlingss­timmen di Johann Strauss jr. rilette da Grünfeld: altro dragster, altre scintille...

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