L’integralismo di Ahmed: i Dardenne senza risposte
Idecorati fratelli Dardenne (pure stavolta premio per la regìa a Cannes), sono da 20 anni infaticabili pedinatori del reale, di un quotidiano che non vogliono sporcare con carinerie di fiction: sono fondamentalisti dell’immagine. Quando muovono la macchina a mano sono detective neutrali dell’oggi, di personaggi che soffrono in prima persona ma di cui capiamo le ragioni.
La macchina s’inceppa oggi con L’età giovane, dove si cerca invano di rispondere al mistero per cui un 13enne, cresciuto in famiglia e scuola non integraliste di una città belga, venga sedotto dalla «purezza» del fondamentalismo islamico, oltre i precetti con cui lo plagia l’imam. Tenta di uccidere l’insegnante di lingua araba perché modernista (non usa solo i versetti del Corano), non parla con nessuno, disprezza madre e sorella, è rinchiuso nel riformatorio dove per un attimo cede al sovvertimento dei sensi di una biondina e subito si pente ma non abiura al credo radicale che lo porterà a far di nuovo visita alla vittima.
Il finale è ambiguo, siglato dalla sequenza in nero che declina ogni responsabilità e spegne la luce della ragione: Ahmed non vuol comunicare con familiari, psicologi, insegnanti e neanche col cinema. I Dardenne non riescono a scalfire l’arida coscienza del giovane, che tiene gli occhi bassi e non spiega alla società l’ansia di assolutismo e morte. Pur con un ragazzo bravissimo (Idir Ben Addi), pur nobile e attuale, il film manda a casa senza risposte, solo qualche didascalia.