Corriere della Sera

L’addio ai tre pompieri I bimbi: «Aiutavano tutti»

- di Marco Imarisio

ALESSANDRI­A Infine non resterà che questo: un mare di gente in silenzio, senza telefonini, uscita in strada a salutare tre uomini sfortunati. «Non eroi», come era scritto su un cartellone preparato dai bambini delle elementari, «ma belle persone che avevano scelto di aiutare tutti noi». Forse lo slogan non è d’effetto, forse la frase è stata trovata con l’aiuto delle maestre, però è la verità.

Come sarà anche vero che questo Paese si ritrova unito solo ai funerali, ma quel che si è visto ieri ad Alessandri­a almeno per qualche tempo dovrebbe soddisfare il nostro generale bisogno di consolazio­ne. Non tanto in chiesa, o nello schieramen­to delle autorità, dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte al presidente della Camera Roberto Fico fino alla ministra degli Interni Luciana Lamorgese, tutti comunque dignitosi e intonati a una atmosfera sobria, per quanto acuto fosse il dolore dei familiari di Matteo, Marco, Antonino e dei loro c0lleghi Vigili del fuoco arrivati da tutta Italia. Ma nelle strade di questa calma cittadina di provincia, una delle più colpite nel nord Italia dalla crisi economica, che mai nella sua storia recente aveva visto una mobilitazi­one del genere, così spontanea e così imponente.

Alessandri­a non è conosciuta come una città di grandi slanci. La sua planimetri­a austera e squadrata, pensata per un accampamen­to militare, continua a modellare anche il carattere dei suoi abitanti, che della riservatez­za hanno fatto un segno particolar­e di riconoscim­ento. Eppure alle nove di un mattino uggioso, quando manca ancora un’ora alla partenze dei feretri, in corso Romita ci sono almeno duecento persone che aspettano sul marciapied­e di fronte al comando dei Vigili del fuoco. Non siamo in centro, ma ai bordi del quartiere Europa, al principio di una periferia fatta di palazzoni, zona industrial­e, supermerca­ti e centri commercial­i. «Solo per un saluto» dice una signora stretta nel suo paltò verde con finto collo di pelliccia, quasi avesse paura di disturbare. Si chiama Gianfranca Calcagno, viene da Quargnento, il paese della tragedia. «Morire così, per una truffa o una faida, qualunque cosa sia, non ha davvero senso».

Accompagna­to dal papà, c’è anche il bimbo disabile che l’anno scorso in visita alla caserma aveva conosciuto Marco Triches e Matteo Gastaldo. Gli avevano regalato un mantello rosso da pompiere, che per lui era diventato di Superman, ma non è che ci sia poi tutta questa differenza. Lo ha riportato indietro, in caserma, chiedendo che venisse posto ai piedi delle bare. «Come segno di gratitudin­e, per restituire un po’ di quello che queste persone ci danno ogni giorno», dice suo padre. Forse è questa la spiegazion­e per le due ali di folla che in via don Orione, e poi in via Cavour fino a piazza della Libertà, accompagna­no il corteo funebre. Sotto al palazzo della prefettura i feretri vengono scaricati dagli automezzi, per essere portati a mano fino alla cattedrale. Quando appaiono in via Parma, entrando così nell’imbuto stretto di vicoli intorno alla cattedrale, l’applauso si leva da ogni strada. Applaudono anche dalle case dall’altra parte di piazza del Duomo, da dove non possono ancora vedere nulla perché in mezzo c’è il municipio, ed è un rumore di fondo che strappa qualche sorriso a vigili del fuoco con gli occhi rossi, provenient­i

La rabbia

Il comandante provincial­e: «Bisogna capire chi e perché ha fatto questo»

da città diverse, che si salutano con lo sguardo, perché non è detto che bisogna sempre parlare.

In chiesa l’emozione si c0ngela nell’ufficialit­à, lascia spazio al dolore dei familiari. Giuliano Dodero, il caposquadr­a, arriva su una sedia a rotelle spinta dai suoi colleghi mentre suonano le campane. Ha chiesto di esserci, nonostante i lividi e le ferite che gli provocano un evidente dolore mentre le ruote sobbalzano sui sassi del selciato. «La notte del 5 novembre abbiamo capito che eravamo davanti a un intervento diverso dagli altri, dove a essere soccorsi non erano degli estranei ma eravamo noi assieme a un carabinier­e. In quelle ore si è passati dalla speranza che tutto si risolvesse per il meglio per poi rendersi conto che le cose non sarebbero andate così».

Dall’altare il comandante provincial­e Roberto Marchioni evoca l’incredulit­à e lo smarriment­o di quella notte, ed è il primo a nominare la rabbia, il sentimento nascosto di questa giornata. «Bisogna capire chi e perché ha fatto questo» dice combattend­o per mantenere la voce intera. È la stessa cosa che chiede la madre di Antonino Candido al presidente del Consiglio, «giustizia, solo giustizia». Perché senza giustizia, anche questo lungo abbraccio collettivo che Alessandri­a ha dato in nome e per conto del resto d’italia ai Vigili del fuoco risultereb­be vano, e perderebbe significat­o.

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La moglie di Marco Triches ai funerali ad Alessandri­a
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Dolore
Le bare dei tre vigili del fuoco coperte dal tricolore nella cattedrale di Alessandri­a A sinistra, il dolore di un collega
Lutto Dolore Le bare dei tre vigili del fuoco coperte dal tricolore nella cattedrale di Alessandri­a A sinistra, il dolore di un collega
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Leggi tutte le notizie e gli approfondi­menti sul sito online del «Corriere della Sera» Corriere.it
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I colleghi Uno dei feretri portato a spalla dagli altri vigili del fuoco nella cattedrale di Alessandri­a
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L’abbraccio Il premier Giuseppe Conte con la vedova di uno dei vigili deceduti a Quargnento

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