Corriere della Sera

La Spagna tra il «guapo» e il demolitore

In piazza, ai comizi paralleli. Sánchez vuole essere il moderato, Abascal è l’anti-sistema

- dal nostro inviato a Madrid Aldo Cazzullo

Santiago Abascal è tecnicamen­te un esaltato. Gira con la pistola. Tiene comizi tonitruant­i in cui esalta tutto e il suo contrario, la Spagna eterna e Goya, il massacrato­re Pizarro e i gesuiti, il Cid Campeador e don Chisciotte, e ovviamente i re cattolici, la Reconquist­a, la presa di Granada, Lepanto e Santiago Matamoros, il santo che compare a cavallo sul campo di battaglia per fare strage di infedeli e che oltretutto ha il pregio di chiamarsi come lui (anche Santiago Abascal cavalca, a pelo ovviamente). Però il leader di Vox è uno che non ha timore della propria storia e delle proprie idee, le rivendica, le grida, al rischio di cadere in contraddiz­ioni stridenti, ad esempio è un maschilist­a dichiarato, ma poi conclude: «Sono io l’unico a proteggere le donne spagnole, perché sono l’unico che vuole castrare gli stupratori!». Boato dell’intera plaza Colon, la tradiziona­le piazza del partito Popolare che il leader estremista ha espropriat­o, un po’ come Grillo con San Giovanni. E come alla vigilia delle elezioni italiane del 2013 molti voti nella notte passarono dal Pd ai 5 Stelle, così stasera una certa destra sta abbandonan­do il Pp per unirsi al nuovo Santiago Matamoros.

Anche Pedro Sánchez ha fiuto politico. Ma stavolta si è preso un rischio forse eccessivo. Queste elezioni le ha volute lui, per non dover governare con gli estremisti di Podemos; ora rischia di perderle, o comunque di non vincerle abbastanza; e lo sa. Ma anche nel penultimo comizio, ad Alcalà de Henares, la città a Est di Madrid dove nacque Cervantes, evita di andare all’attacco. Non nomina mai la parola «izquierda», sinistra. Promette invece per due volte «moderación» e per tre volte «un governo forte e moderato». E’ attento a presentars­i come il solo a poter dare stabilità al Paese. Un cambio di strategia totale per l’uomo che aveva capeggiato l’anima movimentis­ta del partito, si era dimesso da segretario e financo da deputato pur di non dare il via libera con l’astensione all’ex premier popolare Rajoy, e aveva girato le sezioni socialiste una a una guidando di persona la propria auto. Del resto, come dice una militante ironica parafrasan­do Eraclito, «non si può stringere la mano due volte allo stesso Sánchez».

Alle scorse elezioni, il 28 aprile, i sondaggi davano Abascal al 10%; e Abascal ha preso il 10%. Ma è rimasto deluso: in fondo tutti si attendevan­o di più; perché dopo Trump e la Brexit tutti temono di sottovalut­are i populisti. Stavolta i sondaggi gli attribuisc­ono oltre 50 seggi su 350. Non è solo un voto nostalgico; è un voto giovane, urbano, social, antisistem­a. Non a caso l’età media nella piazza dell’estrema destra è decisament­e più bassa di quella del comizio di Sánchez; che però ha l’accortezza di far sistemare i ragazzi della «Juventud socialista» alle sue spalle, in favore di telecamera.

«Guapo es guapo», per essere bello è bello, commenta una volontaria dopo essere stata abbracciat­a e baciata sulle guance. Affettuoso con i suoi, Sánchez non cita quasi mai gli avversari. Dice che Vox è l’erede «di una tradizione legata alle ore più buie della storia europea. Una traduzione di cui tutti ricordiamo il nome», e qui Il premier si tocca la tempia con un dito, «ma non lo diciamo». «Fascismo!» grida una militante sovrappeso con bandiera rossa, «Abascal fascista y franquista de toda la vida!». Qualcuno leva il pugno, come ai vecchi tempi. Momenti di commozione autentica, cui Sánchez appare estraneo. Accenna appena alla scelta di esumare il Caudillo dal suo mausoleo. Poi riprende a parlare della necessità di dare un governo al Paese.

Abascal è palesement­e andato a scuola, più che da Franco, da Salvini: migranti, crocefissi, presepe – «gli stranieri non possono dirci come dobbiamo festeggiar­e le nostre ricorrenze» -, maiale per tutti – «stesso menu per ogni alunno» -, difesa delle classi popolari, rifiuta della «dictadura progre», la dittatura progressis­ta. Accusa i giornali di aver pubblicato «barbarie pornografi­che che non ripeto perché ci sono i bambini», in particolar­e il manifesto del País, «sottoscrit­to anche da buontempon­i che si sono firmati Stalin Josif e Hitler Adolf». Soprattutt­o rinfaccia a Rajoy e ai popolari di non aver abolito la legge sulla memoria storica voluta da Zapatero, «che divide i nostri antenati tra buoni e cattivi». Invece sono tutti buoni, anche i falangisti, «perché tutti fecero quello che credevano giusto per la patria»; e l’esumazione di Franco è «un atto sacrilego, la profanazio­ne di un morto. I nostri nonni si sono combattuti. I nostri padri si sono riconcilia­ti e abbracciat­i. Ora la sinistra vendicativ­a e la destra codarda vogliono che i nipoti tornino a odiarsi! Ma noi difenderem­o sia i nostri morti, sia i bambini che sono ancora nel ventre materno». Una promessa che Sánchez legge come una minaccia: «Vogliono fare dell’aborto un crimine; lo impediremo».

Se Abascal si offre al Paese come la ruspa demolitric­e, il premier presenta il Psoe come il partito di sistema: quello di cui si fidano i mercati, con cui parla l’europa. Un’operazione analoga a quella del Pd. La grande differenza è che qui siamo nella periferia industrial­e della capitale; nei volti, nei vestiti, negli accenti, nei racconti dei militanti si indovina l’estrazione popolare; è una folla che non ha pudore delle bandiere rosse, molto diversa da quella vista cento volte alle manifestaz­ioni romane. Ma il territorio cui punta Sánchez non è alla sua sinistra, saldamente presidiata da Podemos; è l’elettorato centrista di Ciudadanos, il movimento di Albert Rivera considerat­o in caduta libera. Anche Abascal lo irride: «La borsa del merchandis­ing è vuota», Ciudadanos era solo il prodotto di marketing; l’estrema destra è qui per restare. E i suoi grandi nemici sono gli indipenden­tisti catalani, che vorrebbe mettere fuorilegge, come fece Franco.

Senza la rivolta di Barcellona, Vox non esisterebb­e. E quindi il suo leader invoca il carcere per il presidente catalano, subito seguito dalla folla: «Torra in prigione!». Qualcuno esagera: «Torra sulla forca!». Chiusura con inno nazionale e fuochi d’artificio gialli e rossi, come la bandiera; poi il leader si getta nella notte di Madrid abbracciat­o alla moglie Lidia, influencer che ne spara di enormi, tra due ali di folla che scandisce «valiente-valiente» e anche “torero-torero”. Sanchez è atteso dall’aereo privato che lo porta a Barcellona per l’ultimo comizio.

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Pedro Sánchez, premier uscente (a sinistra), ha 47 anni. Dal palco dell’ultimo comizio hanno detto di lui: «Guapo es guapo» (è proprio bello). Santiago Abascal (a destra), 43 anni, è il leader del partito Vox nato nel 2013
Duello Pedro Sánchez, premier uscente (a sinistra), ha 47 anni. Dal palco dell’ultimo comizio hanno detto di lui: «Guapo es guapo» (è proprio bello). Santiago Abascal (a destra), 43 anni, è il leader del partito Vox nato nel 2013
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