I PERICOLI (PER TUTTI) DEL «CAPITALISMO DI SORVEGLIANZA»
La violazione dei dati personali, un tempo considerata una pura questione di «privacy», quasi un fatto di cattiva educazione, oggi è diventata argomento centrale nel dibattito sulla democrazia. Le intromissioni nelle scelte elettorali degli utenti, il dilagare delle fake news e la diffusione dell’odio (per primo l’odio antisemita) fanno rizzare le antenne all’opinione pubblica più attenta. Il più importante contributo arriva da un libro,
Il capitalismo della sorveglianza (Luiss), scritto dalla storica di Harvard Shoshana Zuboff, autrice del celebre In the Age of the Smart Machine. Il capitalismo della sorveglianza è ben di più della appropriazione dei dati personali a fini pubblicitari in cambio dei comodi servizi di Facebook e Google. È un nuovo ordine economico, che sfrutta l’esperienza umana come materia prima per pratiche commerciali segrete di estrazione e di vendita dei dati. È una logica economica parassitaria, in cui la produzione di beni e di servizi è subordinata a una nuova architettura globale che modifica i comportamenti. È una mutazione del capitalismo dall’alto, segnata da una concentrazione di ricchezza, conoscenza e potere che non ha precedenti nella storia umana. In breve: gli oligopoli digitali sono un veleno per la democrazia. Le tesi di Zuboff stanno conquistando l’attenzione di leader politici e di esponenti delle authority, dalla commissaria europea alla Concorrenza Margrethe Vestager al Garante della Privacy italiano Antonello Soro. Convinti che solo l’azione di un’europa coesa possa contrastare il capitalismo della sorveglianza e dei suoi colossi americani e cinesi, in lotta per una leadership tecnologica globale che rischia di tagliare fuori l’europa: e fare del Vecchio Continente una terra di conquista.