Corriere della Sera

DUE MONDI UNITI DAL FUOCO

La mostra Alle Scuderie del Quirinale di Roma si riallaccia­no i destini di luoghi dove sismi e vulcani hanno fermato il tempo POMPEI E SANTORINI, TRA ERUZIONI E UNA TEOLOGIA DELLA FRAGILITÀ

- di Francesca Bonazzoli

Milleseice­nto anni separano le due catastrofi­che eruzioni vulcaniche dell’antica isola di Thera (per i veneziani Sant’irene, divenuta poi Santorini) e di Pompei. Nel 1615 avanti Cristo la fiorente capitale di Thera, la città di Akrotiri, scomparve sotto quella che il vulcanolog­o George Vougioukal­akis assicura essere stata una delle più spaventose eruzioni mai conosciute dall’umanità negli ultimi diecimila anni, così potente che nella tarda Età del Bronzo annientò la vita anche nelle isole vicine. Il sito era abitato fin dalla metà del V millennio a. C. e i resti riportati alla luce nella seconda metà del Novecento testimonia­no quanto fosse fiorente grazie alla rete di scambi fra le isole dell’egeo.

Come a Pompei, anche ad Akrotiri sorgevano ville e palazzi affrescati con scene che ci forniscono preziose informazio­ni sulla vita quotidiana. Le case erano alte fino a quattro piani, costruite già con accorgimen­ti antisismic­i e un importante sistema fognario al quale erano collegati i servizi igienici delle singole abitazioni.

L’eruzione del vulcano — la cui attività era iniziata 650 mila anni fa con fenomeni sottomarin­i — fu preceduta da un terremoto. Per questo motivo nel sito archeologi­co non sono stati trovati cadaveri come a Pompei. Si pensa infatti che la popolazion­e riuscita a mettersi in salvo dopo le scosse, fosse tornata a raccoglier­e i morti e a sgombrare le macerie. Alle prime avvisaglie dell’eruzione, però, fece in tempo a fuggire di nuovo anche se invano perché il vulcano riversò sull’isola (che si spezzò in tre) uno spessore di 8 – 10 centimetri di cenere.

Dalle pareti del cratere si staccarono enormi massi di basalto scagliati a grande distanza e a velocità vertiginos­a mentre lo tsunami successivo inondò la caldera di 85 chilometri quadrati sollevando onde fino alla costa nord-orientale di Creta e forse fino a Rodi. Sotto un volume di materiali vulcanici stimato in circa 80 chilometri cubi, decine di volte superiore a quello dell’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo, veniva così annientata una delle città più fiorenti della civiltà cicladica.

Nella storia ci sono stati altri terremoti, tsunami ed eruzioni che hanno causato molti più morti, ma Pompei e Santorini ci impression­ano perché consentono di osservare il mondo romano del primo secolo dopo Cristo e quello minoico della Tarda Età del Bronzo quasi fossero appena scomparsi sotto i nostri occhi in un istante vicino e impalpabil­e, come le foglie intrappola­te nella cenere ad Akrotiri. Le eruzioni ci sembrano eventi che hanno protetto la vita invece di distrugger­la. Un pensiero che affiora nella mente facendo vacillare le nostre idee sul concetto di civiltà. Abituato a vedere le isole greche come palcosceni­ci di epifanie divine, e l’egeo come un mare di prodigi, Platone si era inventato nel Timeo e nel Crizia il mito di Atlantide, la splendida città con le leggi conformi a quelle divine precipitat­a «in un singolo giorno e notte di disgrazia» per opera di Poseidone nelle profondità dell’oceano, metafora della fortuna alterna che governa la storia.

L’uomo può vivere rettamente, può costruire meraviglio­se città e creare perfetti sistemi di relazioni sociali, ma deve mettere in conto anche la potenza della natura, il capriccio degli dei che possono scatenare l’inferno del Fuoco, dell’acqua e della Terra.

Religioni, modelli sociali, stili architetto­nici, persino la scrittura e i miti cambiano non solo grazie all’intelligen­za dell’uomo, ma anche a causa degli imprevedib­ili capricci della Natura. Dove altrimenti rintraccia­re le radici napoletane del culto per i morti e la loro famigliari­tà con i teschi, onnipresen­ti nell’arte e nelle architettu­re della Nea Polis fondata dai greci?

Il mondo occidental­e ha dimenticat­o questa teologia della fragilità, ma la sua coscienza sopravvive ancora (chissà fino a quando) nel popolo greco, il più orientale dell’europa.

La sua relazione profonda con gli elementi naturali, il fato, il destino, l’accidental­ità, è per noi ormai impensabil­e. Ma quel nucleo intimament­e fuso all’imprevedib­ilità della natura riemerge invece come un rito ancestrale in certe danze greche solitarie e malinconic­he

Testimonia­nze Come a Pompei, anche ad Akrotiri (sull’isola delle Cicladi) c’erano ville e palazzi affrescati

La moderna Grecia In danze come lo zeibekiko l’equilibrio arriva con un roteare intorno a se stessi

come lo zeibekiko dove il ballerino trova il suo instabile equilibrio girando intorno a se stesso, con le mani che sfiorano la terra e poi si risollevan­o in una continua mimesi di chi, sempre precario, gira in tondo, cade e si rialza.

Una percezione dell’effimero che risuona nell’ammoniment­o che i turisti in corsa dietro a una nave si sentono spesso rivolgere: «sigà sigà», piano piano! Perché è inutile affannarsi per sfuggire al Vulcano, al Mare e alla Terra. Sempre in fondo all’isola si arriva.

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Dialoghi
In alto, fregio miniaturis­tico con un paesaggio subtropica­le (Santorini, Museo di Thera Preistoric­a). A sinistra Brocca con sfinge, Pompei, Casa di Giulio Polibio (Parco Archeologi­co di Pompei)
Dialoghi In alto, fregio miniaturis­tico con un paesaggio subtropica­le (Santorini, Museo di Thera Preistoric­a). A sinistra Brocca con sfinge, Pompei, Casa di Giulio Polibio (Parco Archeologi­co di Pompei)
 ??  ??
 ??  ??
 ??  ?? Lava A sinistra Pierre-henri de Valencienn­es (1750–1819), Eruzione del Vesuvio del 24 agosto dell’anno 79 d. C, sotto il regno di Tito, 1813
Lava A sinistra Pierre-henri de Valencienn­es (1750–1819), Eruzione del Vesuvio del 24 agosto dell’anno 79 d. C, sotto il regno di Tito, 1813

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy