DUE MONDI UNITI DAL FUOCO
La mostra Alle Scuderie del Quirinale di Roma si riallacciano i destini di luoghi dove sismi e vulcani hanno fermato il tempo POMPEI E SANTORINI, TRA ERUZIONI E UNA TEOLOGIA DELLA FRAGILITÀ
Milleseicento anni separano le due catastrofiche eruzioni vulcaniche dell’antica isola di Thera (per i veneziani Sant’irene, divenuta poi Santorini) e di Pompei. Nel 1615 avanti Cristo la fiorente capitale di Thera, la città di Akrotiri, scomparve sotto quella che il vulcanologo George Vougioukalakis assicura essere stata una delle più spaventose eruzioni mai conosciute dall’umanità negli ultimi diecimila anni, così potente che nella tarda Età del Bronzo annientò la vita anche nelle isole vicine. Il sito era abitato fin dalla metà del V millennio a. C. e i resti riportati alla luce nella seconda metà del Novecento testimoniano quanto fosse fiorente grazie alla rete di scambi fra le isole dell’egeo.
Come a Pompei, anche ad Akrotiri sorgevano ville e palazzi affrescati con scene che ci forniscono preziose informazioni sulla vita quotidiana. Le case erano alte fino a quattro piani, costruite già con accorgimenti antisismici e un importante sistema fognario al quale erano collegati i servizi igienici delle singole abitazioni.
L’eruzione del vulcano — la cui attività era iniziata 650 mila anni fa con fenomeni sottomarini — fu preceduta da un terremoto. Per questo motivo nel sito archeologico non sono stati trovati cadaveri come a Pompei. Si pensa infatti che la popolazione riuscita a mettersi in salvo dopo le scosse, fosse tornata a raccogliere i morti e a sgombrare le macerie. Alle prime avvisaglie dell’eruzione, però, fece in tempo a fuggire di nuovo anche se invano perché il vulcano riversò sull’isola (che si spezzò in tre) uno spessore di 8 – 10 centimetri di cenere.
Dalle pareti del cratere si staccarono enormi massi di basalto scagliati a grande distanza e a velocità vertiginosa mentre lo tsunami successivo inondò la caldera di 85 chilometri quadrati sollevando onde fino alla costa nord-orientale di Creta e forse fino a Rodi. Sotto un volume di materiali vulcanici stimato in circa 80 chilometri cubi, decine di volte superiore a quello dell’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo, veniva così annientata una delle città più fiorenti della civiltà cicladica.
Nella storia ci sono stati altri terremoti, tsunami ed eruzioni che hanno causato molti più morti, ma Pompei e Santorini ci impressionano perché consentono di osservare il mondo romano del primo secolo dopo Cristo e quello minoico della Tarda Età del Bronzo quasi fossero appena scomparsi sotto i nostri occhi in un istante vicino e impalpabile, come le foglie intrappolate nella cenere ad Akrotiri. Le eruzioni ci sembrano eventi che hanno protetto la vita invece di distruggerla. Un pensiero che affiora nella mente facendo vacillare le nostre idee sul concetto di civiltà. Abituato a vedere le isole greche come palcoscenici di epifanie divine, e l’egeo come un mare di prodigi, Platone si era inventato nel Timeo e nel Crizia il mito di Atlantide, la splendida città con le leggi conformi a quelle divine precipitata «in un singolo giorno e notte di disgrazia» per opera di Poseidone nelle profondità dell’oceano, metafora della fortuna alterna che governa la storia.
L’uomo può vivere rettamente, può costruire meravigliose città e creare perfetti sistemi di relazioni sociali, ma deve mettere in conto anche la potenza della natura, il capriccio degli dei che possono scatenare l’inferno del Fuoco, dell’acqua e della Terra.
Religioni, modelli sociali, stili architettonici, persino la scrittura e i miti cambiano non solo grazie all’intelligenza dell’uomo, ma anche a causa degli imprevedibili capricci della Natura. Dove altrimenti rintracciare le radici napoletane del culto per i morti e la loro famigliarità con i teschi, onnipresenti nell’arte e nelle architetture della Nea Polis fondata dai greci?
Il mondo occidentale ha dimenticato questa teologia della fragilità, ma la sua coscienza sopravvive ancora (chissà fino a quando) nel popolo greco, il più orientale dell’europa.
La sua relazione profonda con gli elementi naturali, il fato, il destino, l’accidentalità, è per noi ormai impensabile. Ma quel nucleo intimamente fuso all’imprevedibilità della natura riemerge invece come un rito ancestrale in certe danze greche solitarie e malinconiche
Testimonianze Come a Pompei, anche ad Akrotiri (sull’isola delle Cicladi) c’erano ville e palazzi affrescati
La moderna Grecia In danze come lo zeibekiko l’equilibrio arriva con un roteare intorno a se stessi
come lo zeibekiko dove il ballerino trova il suo instabile equilibrio girando intorno a se stesso, con le mani che sfiorano la terra e poi si risollevano in una continua mimesi di chi, sempre precario, gira in tondo, cade e si rialza.
Una percezione dell’effimero che risuona nell’ammonimento che i turisti in corsa dietro a una nave si sentono spesso rivolgere: «sigà sigà», piano piano! Perché è inutile affannarsi per sfuggire al Vulcano, al Mare e alla Terra. Sempre in fondo all’isola si arriva.