Corriere della Sera

Penone: «L’arte contempora­nea ha esorcizzat­o le sue paure»

- Di Beba Marsano

Considera la vita «un’azione di scultura permanente» e lo stesso respiro una sorta di «bassorilie­vo immaterial­e». Maestro dell’arte povera, Giuseppe Penone (Garessio, 1947) traduce la natura in (s)cultura in un’affermazio­ne di identità tra uomo e ambiente. Alle Scuderie del Quirinale è presente con due opere, Soffio 4 (1978, terracotta) e Corteccia (1983, terracotta, bronzo, ferro, legno), in una riflession­e ad ampio spettro sul tempo, la storia, l’orgoglio del pensiero e la fragilità.

Cosa evoca in lei l’idea di catastrofe?

«Un mutamento di forma, un movimento inarrestab­ile che genera una combinazio­ne di timore e magica attrazione. Il cambiament­o in una realtà diversa, che impone una nuova percezione del mondo».

È stato a Pompei e Santorini?

«A Santorini mai, a Pompei sì. Lì c’è stato il fossilizza­rsi di un momento, di attimi che una coltre di cenere ha consegnato all’eternità».

E i calchi?

«I calchi in gesso dei corpi sono sculture di vite perdute. Brani di realtà riproposti in modo oggettivo attraverso una tecnica che l’arte utilizza da tempi antichissi­mi».

Il luogo più denso di minaccia?

«I Campi Flegrei, in cui l’uomo è alla mercé di energie incontroll­abili».

L’artista che ha interpreta­to con più intensità l’idea di terribilit­à della natura?

«In pittura Caspar David Friedrich con Il mare di ghiaccio [1823-24, Kunsthalle, Amburgo, ndr] opera sul tema simbolico del naufragio dando il senso di una potenza ingovernab­ile, di qualche cosa di così grande e oscuro da diventare sublime. In letteratur­a Edgar Allan

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Giuseppe Penone,
Corteccia, 1983
Materiali vari Giuseppe Penone, Corteccia, 1983

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