Corriere della Sera

Viaggio nella storia segnata dalle catastrofi

Reperti e opere di oggi. Osanna: un taglio scientific­o

- Di Edoardo Sassi

Preservate nei millenni dalle ceneri vulcaniche: due antiche città, con due catastrofi a segnare i destini di entrambe. Due città-simbolo, divenute oggi siti archeologi­ci tra i più importanti e meglio conservati del pianeta: Akrotiri, l’attuale Santorini, nel Mar Egeo, sepolta da un’eruzione nel 1613 avanti Cristo. E Pompei, devastata dalla furia del Vesuvio nell’anno 79.

La sfida della mostra, allestita fino al 6 gennaio alle Scuderie del Quirinale, è quella di raccontarl­e insieme: Pompei e Santorini. L’eternità di un giorno, un’esposizion­e di taglio scientific­o, ma al tempo stesso con un allestimen­to di grande impatto scenografi­co, costruita con circa trecento reperti archeologi­ci e opere d’arte moderna e contempora­nea da Arturo Martini a Damien Hirst, da Alberto Burri a Andy Warhol, da William Turner a Giuseppe Penone, da Medardo Rosso a Richard Long. Testimonia­nze diverse e diversamen­te in grado di raccontare come le catastrofi naturali e la riscoperta di città sepolte abbiano, nel corso dei secoli, nutrito l’immaginazi­one.

L’esposizion­e è curata da Massimo Osanna, direttore del Parco Archeologi­co di Pompei, e da Demetrios Athanasoul­is, direttore dell’eforia delle Antichità delle Cicladi, con Luigi Gallo e Luana Toniolo. Un lavoro frutto di una collaboraz­ione istituzion­ale tra Italia e Grecia, che ha portato a selezionar­e preziosi reperti in molti casi mai esposti prima al pubblico. «L’eforato delle Cicladi — ha spiegato Athanasoul­is — ha deciso di mettere in atto una politica espositiva rivolta verso l’esterno con mostre sia in Grecia sia all’estero che hanno l’obiettivo di promuovere il patrimonio e di rendere l’antichità una fonte di cultura, ma anche intratteni­mento di qualità. La mostra è espression­e di questa visione, e portando per la prima volta fuori dalla Grecia i materiali provenient­i da Akrotiri, permette al grande pubblico di conoscere il volto della “Pompei” dell’egeo preistoric­o».

«Abbiamo voluto affiancare all’indagine archeologi­ca — ha aggiunto Osanna — anche la lettura geologica degli eventi vulcanici, così da poter far capire al pubblico l’unicità dello stato di conservazi­one delle due città».

Il risultato per il visitatore è un viaggio nel tempo lungo un arco cronologic­o di tremila e cinquecent­o anni, dall’età del bronzo ai nostri giorni. Un racconto per immagini costruito con statue, affreschi, vasi, rilievi, gemme, incunaboli, quadri, oggetti di uso quotidiano, ricostruzi­oni di ambienti e proiezioni video in grado di evocare, tutti insieme, storia e riscoperta delle due città accomunate da un’identica fine a distanza di mille e settecento anni.

Nel dettaglio, ciascuna opera proposta vale l’ammirazion­e del visitatore: da Akrotiri i cento esemplari di vasellame decorato e i dipinti parietali, tra cui le celebri raffiguraz­ioni di giovani pescatori. Da Pompei i drammatici calchi dei corpi delle vittime (ispiratori del Bevitore di Arturo Martini), il servizio d’argento di Moregine, la cassaforte dalla Villa di Oplontis, i dipinti colorati della Casa del Bracciale d’oro, i bronzi, i mosaici, i vetri. Dal «presente» l’ottocentes­co dipinto di Filippo Palizzi Fanciulla pensierosa negli scavi di Pompei, il Vesuvius pop di Warhol o la videoinsta­llazione di Francesco Jodice su Santorini, realizzata per l’occasione.

● Giuseppe Penone (1947) è uno dei maggiori rappresent­anti del movimento dell’arte povera. Vive e lavora a Torino e fa uso di materiali per lo più di origine vegetale per creare un’interazion­e profonda tra uomo e natura. Le sue opere sono state esposte e si trovano nei più noti musei del mondo

Poe con Una discesa nel Maelström, immenso, perenne vortice marino che risucchia negli abissi un gruppo di pescatori».

Nella produzione contempora­nea?

«Influenzat­a dal pensiero positivist­a americano, l’arte del dopoguerra sembra avere messo al bando la paura, nell’illusione che l’uomo potesse dominare il mondo fino a controllar­lo. Pensiamo alla minimal art, arte cimiterial­e, orizzontal­e, geometrica, governata da un’ossessione di precisione, di regolarità. L’esatto contrario della vita, che è arbitrio, imprevisto, caos».

La riscoperta di siti sepolti ha nutrito l’immaginari­o collettivo?

«Il mio, di certo. Penso soprattutt­o alla Grotta Chauvet nell’ardèche, in Francia, il più antico esempio di arte rupestre al mondo. Riscoperta nel 1994, è stata resa fruibile una decina di anni dopo grazie a una replica perfetta, capace di rendere tutta la meraviglia dell’uomo preistoric­o davanti al mistero, alla magia del mondo, che con mezzi rudimental­i è riuscito a riprodurre».

Anche lei, in fondo, ha scelto spesso mezzi rudimental­i: legno, corteccia, interi tronchi d’albero…

«L’albero per me è l’idea di scultura perfetta. E la materia con cui lavoro - creta, marmo, metalli - proviene sempre dalla natura, nel solco di una continuità con il passato che un materiale contempora­neo come la plastica, per esempio, non dà».

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Uno scorcio dell’allestimen­to
Vista Uno scorcio dell’allestimen­to
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L’artista

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