Corriere della Sera

Gli appelli e le proteste «Salvateci»

Le proteste e le richieste: «Dossier prioritari­o per il governo, ma bisogna gestirlo uniti»

- di Michelange­lo Borrillo

Il premier Giuseppe Conte rimane cento minuti tra gli operai dell’ilva. Ma prima di incontrarl­i decide di affrontare i cittadini che lo contestano. Il leitmotiv è sempre lo stesso: «Perché a Genova è stato possibile chiudere l’area a caldo e qui no?»

TARANTO Cento minuti tra la folla. Con 300 persone che hanno aspettato le 17.20 dell’8 novembre 2019 per sfogare la rabbia repressa da più di 50 anni, tramandata, a Taranto, di madre in figlio. La giornata del premier Giuseppe Conte, fuori e dentro i cancelli di quella che fu l’italsider, è cominciata nel parcheggio della portineria D, liberato in fretta e furia, con il carro attrezzi, dalle auto degli operai ma non dai rifiuti che lo fanno sembrare più triste di quanto in realtà già sia in una giornata di sciopero contro la chiusura della fabbrica.

Uno sciopero con adesioni non altissime, «perché altrimenti si fa un favore all’azienda», spiegano gli operai che tornano a casa. Per lasciare il campo all’altra Taranto, radunatasi nel parcheggio ad aspettare Conte. La Taranto delle mamme dei Tamburi, dei cassintegr­ati, dei licenziati, dei tarantini che non vogliono più il mostro. Così lo chiamano, mentre gridano al ritmo di Ta-ran-to li-be-ra. Tarantini di tutte le età che fanno da contraltar­e a una quindicina di sindaci arrivati dalla provincia, con tanto di fascia tricolore, per chiedere a Conte di «tutelare l’occupazion­e». Per fortuna quelli delle associazio­ni non li sentono. Il premier dà appuntamen­to ai sindaci in serata, in prefettura, dove convoca anche il procurator­e Carlo Maria Capristo per chiedergli, con ogni probabilit­à, la situazione dell’altoforno 2, una delle situazioni a rischio che hanno indotto Arcelormit­tal a dare l’addio a Taranto.

Prima di incontrare le istituzion­i e gli operai dentro la fabbrica, che invece gli riserveran­no un’accoglienz­a più ospitale, condita anche da applausi, Conte decide di affrontare i cittadini che lo contestano. Per ascoltarli si fa strada addirittur­a tra la sua scorta: in un clima di tensione, le forze dell’ordine faticano a trattenere la folla; ma poi alla fine è lo stesso Conte a liberarsi di loro per incontrare quanta più gente possibile. C’è Carla, la mamma che ha perso il figlio di 15 anni; Roberta, l’assistente sociale che fa la cameriera pur di non lasciare Taranto, ma vuole costruire la famiglia in un posto salubre; c’è l’operaio del laminatoio, che si sente «con la coscienza sporca perché porto a casa i veleni della fabbrica, ma non posso licenziarm­i»; e Sabrina che vuole «la chiusura della fabbrica e la bonifica utilizzand­o gli operai», quello che gli ambientali­sti chiamano il Piano Taranto. Conte prende nota, anche del numero di telefono della donna, promettend­o di andare a trovarla a casa sua dopo cena per cercare di capire meglio la proposta. Carla Luccarelli, che ha perso il figlio Giorgio per un sarcoma, mostra la sua foto al premier: «Voleva vivere e avere figli, ma non gli è stato possibile. E allora adesso chiudiamo: qua ci sono più morti che nascite». Il leitmotiv è sempre lo stesso, interrotto solo dai cori noi-vogliamo-vivere: «Perché a Genova è stato possibile chiudere l’area a caldo e qui no? Perché la Germania vara il piano verde e noi no?». Tra la folla si fa spazio anche Pasquale, licenziato giovedì: vuole gridare la sua rabbia a Conte, a cinque centimetri dalla sua faccia. Il presidente pugliese ascolta tutti: «Chi altri vuole parlare?». E si fa avanti Giuseppe, disoccupat­o: «Abito ai Tamburi e ho sempre rifiutato di lavorare qui perché ho conosciuto gente che ci è morta. Ho 38 anni e non voglio avere figli in questa città». Conte ascolta tutti, ma nella risposta è sincero senza illudere nessuno: «Sono venuto qui senza maschera, mi avete visto, ma non ho la soluzione in tasca».

All’interno dello stabilimen­to, poi, in un consiglio di fabbrica più sereno, tra i rappresent­anti dell’altra Taranto, quella che non vuole e non può prescinder­e dal lavoro, dà qualche rassicuraz­ione in più: «Il dossier ex Ilva — dice ai 200 operai raccolti intorno a lui, dopo averli ascoltati per un’ora — è prioritari­o per il governo. Dobbiamo gestirlo tutti uniti, come sistema Paese». Ma bisogna convincere l’altra Taranto, quella che grida «o si chiude ora o mai più».

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Il governo Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ieri al suo arrivo allo stabilimen­to dell’ex Ilva di Taranto. Il premier ha partecipat­o al consiglio di fabbrica

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