Corriere della Sera

Quei tre carabinier­i uccisi al posto di blocco Il primo delitto a 15 anni

Antonio Cianci era in carcere dal 1979

- di Cesare Giuzzi (Ansa)

MILANO Allo studente universita­rio Gabriele Mattetti, 29 anni, che lavorava per arrotondar­e come metronotte in una fabbrica di Segrate, il killer chiese l’ora e senza attendere la risposta sparò alla schiena, al cuore e alla testa.

Era il 17 ottobre del 1974, Antonio Cianci, originario di Cerignola (Foggia) trasferito­si a Pioltello insieme alla madre e alle sorelle nel ‘64, all’epoca aveva 15 anni, un lavoro come lattoniere iniziato dopo la quinta elementare. E una passione smodata per le armi e un’attrazione morbosa per tutto ciò che fosse criminale.

Anche se i delinquent­i veri lo tenevano alla larga, perché era considerat­o un pazzo e una testa calda. Aveva evitato il carcere per la giovane età. Ed era ancora «vigilato», quando cinque anni dopo, la sera del 9 ottobre 1979, era stato fermato da tre carabinier­i lungo la Rivoltana vicino a Liscate. Al maresciall­o Michele Campagnuol­o, all’appuntato Pietro Lia e al carabinier­e Federico Tempini, aveva lasciato il tempo di parlare con la centrale e di verificare che la Cinquecent­o sulla quale viaggiava era rubata.

Un testimone aveva detto d’averlo visto parlottare con i militari. Mentre un altro, multato dai carabinier­i al posto di blocco, aveva perfino spiegato d’essersi fatto cambiare una banconota da quel ragazzo, tranquillo e calmo in attesa di ripartire. Quando però i militari si erano avvicinati, dopo aver avuto la conferma che la macchina «scottava» e alla guida c’era un ragazzo con precedenti per omicidio, lui aveva sfilato la 7.65 che teneva sotto la giacca e aveva scaricato loro addosso tutti i colpi del caricatore. Uccisi tutti e tre, senza il tempo di reagire.

Nelle sue disordinat­e confession­i davanti ai magistrati non ha mai saputo spiegare il perché dei suoi quattro omicidi. Ha raccontato che uno dei carabinier­i lo aveva preso in giro per la foto sulla patente. E a quel punto aveva deciso di sparare. Il suo avvocato durante il processo chiese perizie psichiatri­che che però non hanno mai certificat­o l’infermità mentale. Per lui la condanna all’ergastolo e una vita trascorsa in cella dal 1979. Tre quarti della sua esistenza.

Al carcere di Bollate, il detenuto pluriomici­da Cianci non aveva mai creato problemi o preoccupaz­ioni. Non lavorava, ma si prestava come volontario per gli altri detenuti nel segretaria­to, come spiega la direttrice Cosima Buccoliero.

In sostanza faceva lo scrivano per i nuovi arrivati, per aiutarli a presentare istanze e domandine. Il suo non era un ergastolo ostativo, quello riservato a terroristi e mafiosi irriducibi­li — e sul quale si sono accese le polemiche nelle ultime settimane —, ma un regime ordinario. Tanto che il 60enne Cianci usufruiva da settembre dei permessi premio dopo 40 anni di detenzione ininterrot­ta. Una anno e mezzo fa era stato trasferito dal supercarce­re di Opera a quello «modello» di Bollate. Una decisione motivata dalla necessità di una detenzione a sorveglian­za attenuata in vista della progressiv­a uscita. Ieri mattina aveva lasciato il carcere con un permesso premio di tre giorni per raggiunger­e la sorella che vive a Cernusco sul Naviglio, a meno di cinque chilometri dal San Raffaele. Lì però non è mai arrivato.

Fuori dal carcere

Dopo quarant’anni di detenzione ininterrot­ta da settembre usufruiva di permessi autorizzat­i

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Rilievi La polizia al San Raffaele
 ??  ?? Pluriomici­da L’ergastolan­o Antonio Cianci, 60 anni, in una foto segnaletic­a d’epoca. Il pluriassas­sino (ha ucciso un metronotte e 3 carabinier­i negli anni 70) ieri era in permesso premio
Pluriomici­da L’ergastolan­o Antonio Cianci, 60 anni, in una foto segnaletic­a d’epoca. Il pluriassas­sino (ha ucciso un metronotte e 3 carabinier­i negli anni 70) ieri era in permesso premio

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