Intesa in Spagna (4 anni dopo): i socialisti con Podemos
Sarà — meglio forse dire «sarebbe» — il governo del Pueblo unido. Sigillato dall’abbraccio fraterno tra due leader che si sono detestati e combattuti per quattro elezioni.
Pedro Sánchez, che dopo aver tentato di distruggere Podemos si è rassegnato a sceglierlo come alleato, e Pablo Iglesias, che entrerebbe come secondo vicepresidente (la prima deve essere donna).
Il programma è talmente vago da presentare squarci di autentico umorismo. Testualmente: «Più crescita e più lavoro», ovviamente «degno, stabile e di qualità»; come se qualcuno potesse auspicare un lavoro indegno, instabile, squalificato. Inoltre: «Rigenerazione e lotta contro la corruzione». «Casa come diritto e non come merce». Qualche riga sotto si specifica che è un diritto pure la cultura, così come «una morte degna e l’eutanasia». Aumento delle pensioni. «Trattamento degno degli animali» (Pablo Iglesias ha tre cani). Mens sana in corpore sano: «Sviluppo dello sport come garanzia di salute, integrazione e qualità di vita». Ovviamente, lotta al cambio climatico, protezione della biodiversità, e per non farsi mancare nulla «creazione di ricchezza e benessere», ma anche «digitalizzazione». Mancano solo due dettagli: i numeri, intesi sia come cifre – a prendere ogni cosa sul serio servirebbe raddoppiare la spesa pubblica: ma con quali soldi? —, sia come seggi in Parlamento. La maggioranza assoluta è 176. I socialisti ne hanno 120, Podemos 35: insieme alle ultime elezioni ne hanno persi dieci; sarebbe stato più saggio accordarsi prima. Il piano è aggregare i tre di Mas Pais, i dieci di Ciudadanos che sarebbero di destra ma sono considerati pronti a tutto, più i 7 baschi moderati, i due deputati delle Canarie, quello del Blocco galiziano e il preziosissimo rappresentante di «Teruel existe», eletto con 19 mila voti, cui è dedicato il punto 8 del piano di governo: lottare contro lo spopolamento della Spagna profonda. Per arrivare a 176 non ci si può permettere nemmeno un raffreddore, ma alla seconda votazione è prevista la maggioranza semplice; e soprattutto si conta sull’astensione dei separatisti catalani.
Nel patto — ovviamente una base teorica in vista dei negoziati veri — della Catalogna si dice tutto e il contrario di tutto. Dialogo, ma «sempre dentro la Costituzione», quindi senza referendum sull’indipendenza. «Convivenza e normalizzazione», ma garantendo «l’uguaglianza di tutti gli spagnoli», i ricchi catalani come i poveri andalusi. Basterà a far vivere il governo? Le due sinistre — quella riformista, quasi centrista del Psoe, e quella massimalista, quasi rivoluzionaria di Podemos — possono stare insieme? La cravatta di Sánchez e il codone da tanguero di Iglesias? L’ambizione è fare della Spagna il luogo più avanzato d’europa, il Paese dei diritti politici e sociali. I ceti produttivi, la Chiesa, l’europa, la Germania — che controlla il debito pubblico spagnolo — assistono sgomenti. Un governo socialista con l’astensione dei popolari a parole viene scartato da entrambi i grandi partiti; ma resterebbe la soluzione più logica.