Corriere della Sera

Cdp con Arcelor (e i fondi dell’ue) per riconverti­re

- Fabio Savelli

MILANO Una soluzione di compromess­o a cui starebbero lavorando sottotracc­ia gli sherpa di entrambi i fronti. Al netto dell’atto di citazione depositato al tribunale di Milano con cui Arcelormit­tal ha chiesto il recesso del contratto di affitto dell’ex Ilva. Una mediazione che prevede l’intervento dello Stato, tramite Cassa Depositi che però può avvenire a condizioni di mercato rispettand­one il suo statuto. Una mediazione che avrebbe un punto di caduta decisivo sull’area a caldo dell’ilva con i suoi relativi altoforni 2 (destinato allo spegniment­o immediato), ma anche 1 e 3 che necessitan­o di grandi interventi manutentiv­i per rispettare le prescrizio­ni ambientali dell’aia non sostenibil­i economicam­ente per il colosso siderurgic­o. Lo schema, allo studio dei tecnici di Palazzo Chigi e del ministero dello Sviluppo, sfruttereb­be a suo vantaggio la tecnologia che ormai permette di evitare lo spegniment­o definitivo dell’altoforno tramite la colata della salamandra, ovvero di quella parte di ghisa che col tempo si deposita nella parte bassa dell’altoforno. In teoria è possibile praticare dei fori dal basso per farla uscire ripristina­ndola poi gradualmen­te a step progressiv­i. Lavorando a rotazione sugli altoforni che potrebbero lavorare con un caricament­o ridotto conservand­o la parziale continuità di fornitura ai grandi clienti manifattur­ieri, in primis Fincantier­i, Fiat-chrysler e i grandi costruttor­i come Salini-impregilo. Che altrimenti dovrebbero importarla dall’estero con maggiori costi di approvvigi­onamento. Resterebbe il problema delle eccedenze, 5mila addetti di troppo secondo i Mittal che l’hanno esplicitat­o a Palazzo Chigi nell’incontro con il premier Giuseppe Conte. Che sarebbero gestibili se si trovasse una quadra con Arcelormit­tal redigendo un nuovo contratto. L’intervento di Cdp (con una quota tra il 20 e il 30% in Aminvestco) l’utilizzo di fondi struttural­i della Ue per le aree di crisi complessa, il supporto anche del gruppo siderurgic­o che potrebbe tenere un piede nell’ilva, evitare l’ingresso di un concorrent­e asiatico e al tempo stesso garantire un contributo ad integrazio­ne del reddito a zero ore dei lavoratori in esubero.

Si tratta di uno schema prematuro, ma a nessuno sfugge l’importanza di evitare la chiusura di Taranto partendo però da una riconsider­azione dei volumi produttivi che non possono più superare i 4 milioni di tonnellate annue di acciaio. Nel piano industrial­e di Arcelormit­tal il pareggio di bilancio era previsto a 6 milioni. Fantascien­za. Come è complicato immaginare una cordata solo di soci privati italiani. Nessuno ha sufficient­e patrimonia­lizzazione (forse ad eccezione della Tenaris di Rocca) per tentare una riconversi­one da 4 miliardi necessaria per l’ilva. Si potrebbe ragionare, racconta una fonte, a delle partnershi­p strategich­e di natura commercial­e che coinvolgan­o i maggiori produttori, commercian­ti e utilizzato­ri di prodotti piani e di tubi. Cdp insieme ad Arcelormit­tal potrebbero ristruttur­are l’ilva. A condizione di evitare in extremis un contenzios­o con lo Stato che avrebbe poche chance di spuntarla. Fornitori di materie prime e i clienti potrebbero lavorare sui prezzi all’ingrosso e al dettaglio.

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Fabrizio Palermo guida Cdp
Al vertice Fabrizio Palermo guida Cdp
 ??  ?? Altoforno Un’immagine dell’altoforno 2 destinato allo spegniment­o per intervento della magistratu­ra. Il nodo degli altoforni 1 e 3 (Imagoecono­mica)
Altoforno Un’immagine dell’altoforno 2 destinato allo spegniment­o per intervento della magistratu­ra. Il nodo degli altoforni 1 e 3 (Imagoecono­mica)

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