Corriere della Sera

Arvedi e Feralpi, i nomi dell’acciaio studiano i dossier

- Rita Querzè

I Mittal non incontrano il governo ma parlano con i fatti. Il gruppo franco-indiano ha comunicato il cronoprogr­amma per lo spegniment­o dell’altoforno 2 dell’ex Ilva. Si parte il 20 novembre per svolgere una serie di passaggi tecnici che porteranno al completame­nto del processo entro il 25 novembre.

Si tratta del primo atto concreto per l’uscita. Se a dicembre davvero Arcelor Mittal riconsegne­rà le chiavi, quale potrebbe essere il piano B? Quali imprendito­ri italiani dell’acciaio potrebbero mettere — se non capitali — almeno competenze industrial­i al servizio di un salvataggi­o dell’acciaieria? È questa la domanda a cui deve rispondere chi dentro al governo sta cercando di mettere a punto una exit strategy per Ilva. E i contatti sono in corso.

Gli ostacoli però sono due. Il primo è congiuntur­ale: il mercato dell’acciaio va malissimo. Il secondo è struttural­e: gli acciaieri italiani sono tanti ma di taglia medio-piccola. Mentre invece per affrontare la sfida di Taranto servirebbe un peso massimo. Certo, sulla carta potrebbe esserci l’ipotesi della cordata. Ma Federaccia­i, l’associazio­ne dei principali gruppi del settore, per il momento sta alla finestra. E aspetta di vedere come andrà a finire con Arcelor Mittal (il colosso franco indiano è uno dei principali associati).

«Non ci sono le condizioni perché un privato possa intervenir­e senza una forte partecipaz­ione pubblica in una situazione che mostra segni di deterioram­ento pesanti», taglia corto uno che di siderurgia se ne intende come Carlo Mapelli del Politecnic­o di Milano. Ma torniamo ai singoli gruppi siderurgic­i. Chi non potrà essere della partita per ovvi motivi è il gruppo Riva che comunque continua ad avere un giro d’affari da 3,6 miliardi di euro. Stesso discorso per le acciaierie Valbruna della famiglia Amenduni che erano socie dei Riva e hanno aperto un contenzios­o sia con Riva che con la gestione dei commissari.

Sul piano strettamen­te industrial­e, a sapere bene come funziona un altoforno in Italia sono Tenaris (che però non ha questo genere di produzione in Italia) e poi il gruppo Arvedi che invece ne ha uno a Servola, alle porte di Trieste. L’area a caldo, però, a breve sarà chiusa anche per l’ostilità degli enti locali del territorio (Arvedi rivendica di essere in regola con le prescrizio­ni ambientali). Da notare: nel cda di Arvedi è appena entrato Claudio Costamagna, ex Cdp. Inoltre Arvedi conosce bene il dossier Ilva visto che faceva parte della cordata che ha perso la gara con AM Investco (quella con Jindal e Cdp). A conoscere bene il dossier è anche il gruppo Marcegagli­a, trasformat­ore di acciaio da 5,3 miliardi di fatturato. Uno dei maggiori clienti di Ilva: il 20% dell’acciaio di Taranto viene rilavorato a Mantova. Marcegagli­a era in cordata con Arcelor Mittal, poi uscì. Ma oggi il gruppo informalme­nte smentisce l’intenzione di tornare in partita. Come anche la Feralpi di Brescia.

Insomma, a un primo giro di orizzonte la caccia non sarà facile. E se mai si materializ­zasse un imprendito­re interessat­o, si può già immaginare la prima condizione: quello scudo penale appena tolto ad Arcelor Mittal.

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L’acciaiere Giovanni Arvedi
Chi è L’acciaiere Giovanni Arvedi

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