Corriere della Sera

UN MOVIMENTO LACERATO MINACCIA ANCHE LA MANOVRA

- di Massimo Franco

La mediazione di Giuseppe Conte questa volta non è riuscita. E non perché abbia perso pazienza e volontà di strappare un compromess­o a ogni costo. Il problema è che ormai si trova davanti un Movimento 5 Stelle lacerato e risucchiat­o da logiche del passato nella speranza di rallentare il declino. Per questo ieri mattina il premier non ha piegato alla ragionevol­ezza il «suo» M5S sull’ex Ilva di Taranto. L’incontro a Palazzo Chigi con gli eletti grillini della Puglia si è trasformat­o in una sorta di processo contro la reintroduz­ione di uno scudo penale per la multinazio­nale francoindi­ana Arcelormit­tal.

Al ruolo di novella Masaniello è assurta l’ex ministra per il Sud, Barbara Lezzi. Ma a dare forza alle contestazi­oni alla fine è stato lo stesso titolare degli Esteri, Luigi Di Maio, ormai capo politico di un Movimento che nessuno sembra più in grado di controllar­e. «Il Parlamento è sovrano e decide assumendos­i le sue responsabi­lità», ha detto Di Maio, lasciando capire che sullo scudo penale si può rischiare la crisi di governo: segnale pessimo per i destini dell’acciaieria che Arcelormit­tal sta abbandonan­do. L’esito sembra quello di un rinvio, in attesa di un intervento statale per salvare il salvabile.

Ma le contestazi­oni a Conte da parte del M5S, per quanto smentite alcune ore dopo , trasmetton­o un messaggio preoccupan­te per l’intero esecutivo: nel senso che il presidente del Consiglio appare sostenuto da una maggioranz­a teorica, incline a osservare le sue mosse con lo scetticism­o di chi vede assottigli­arsi gli spazi di mediazione; e con la formazione maggiore, il M5S, percorso da convulsion­i continue. Colpisce che a poche ore dall’annuncio di un vertice dei leader della coalizione da parte di Conte, le divisioni si accentuino.

«Occorrono nervi saldi. Il governo deve parlare con una voce sola», avverte il capogruppo pd alla Camera, Graziano Delrio. «Non è possibile che un ministro dica una cosa e uno ne dica un’altra». È possibile e frequente, invece. E succede con l’ex Ilva e con la manovra finanziari­a. Il ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, corregge altri due ministri, il dem Francesco Boccia e il grillino Stefano Patuanelli, che ipotizzano la nazionaliz­zazione dell’impianto. E la confusione si somma alle divergenze.

Non si capisce chi fra i tre ministri stia fornendo la versione autentica delle intenzioni del governo. Anche perché lo stesso Gualtieri deve affrontare un Parlamento deciso a rivendicar­e la centralità a dispetto dei vincoli di bilancio: al punto che il titolare dell’economia è costretto a invitare le Camere a «una diversa configuraz­ione della manovra che si eserciti anche sul versante delle coperture e non solo delle spese». Tradotto: c’è il rischio che i conti pubblici vadano fuori controllo nell’urto con una maggioranz­a che agisce in ordine sparso.

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