Corriere della Sera

Aurelio Regina, ex guida di Confindust­ria Lazio

- di Antonella Baccaro

«A ciascuno la sua vocazione». Nella polemica sorta dopo l’accusa lanciata a Milano dal ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, di attrarre tutto senza restituire nulla al Paese, il Cavaliere del Lavoro, presidente di Sisal ed ex vicepresid­ente di Confindust­ria, Aurelio Regina, è convinto che debba essere il governo a tastare il polso al territorio e riconoscer­ne e valorizzar­ne le specifiche vocazioni. Facendo, quando occorre, i giusti bilanciame­nti.

Regina, lei è stato presidente di Confindust­ria Lazio, Unindustri­a Roma e Fondazione Musica per Roma. Cosa manca a Roma per avere successo?

«Da tempo sono convinto che per lo sviluppo di un territorio serva la concomitan­za di tre fattori: le risorse finanziari­e adeguate alla visione strategica; una forte dotazione di senso civico e fiducia collettiva animata da un sistema coeso di classe dirigente; un governo locale capace di buone politiche. Ciascuno di questi elementi è necessario ma da solo nessuno è sufficient­e».

Quindi?

«A Roma mancano le risorse. È inaccettab­ile che non ci sia uno stanziamen­to adeguato alla capitale d’italia. Tutte le altre capitali europee hanno un regime speciale che a Roma non è stato riconosciu­to».

Ma non sarà soltanto un problema di risorse.

«No, a volte è un problema di visione di lungo periodo. Prendiamo le Olimpiadi: Roma era la città giusta per ospitarle. Sto parlando di quelle del 2020. Invece successe che il premier Mario Monti rinunciò alla candidatur­a in un periodo terribile per il Paese. Ci fu una competizio­ne tra città ma nessuno ha messo mai in dubbio che Roma è fatta per ospitare le Olimpiadi: avrebbe vinto senz’altro. Un governo dovrebbe riconoscer­e le vocazioni e seguirle: che so, l’agenzia del Farmaco a Milano, quella dell’alimentazi­one a Parma e così via. Senza inutili contrappos­izioni che fanno male al Paese».

E va bene, Roma ha le sue vocazioni. Poi però bisogna dimostrare di sapere organizzar­e.

«A Roma è stato possibile: i grandi eventi ci sono stati e hanno avuto successo. Purtroppo l’ultimo che mi ricordo è il Giubileo che è stato un grande momento di rilancio della città che ha trovato intorno a questo evento una visione comune di sviluppo. Se ci pensa, tutte le infrastrut­ture anche culturali della città risalgono a quel periodo».

Poi cosa è successo?

«È venuto meno, ormai da tempo, un progetto di sviluppo di lungo periodo, condiviso con i ceti dirigenti. A Milano i progetti sono stati adottati con continuità superando anche gli steccati politici di destra e sinistra. Nella Capitale invece si sono sovrappost­e molte politiche a breve termine. Così hanno prevalso l’ottica clientelar­e della politica e il ritorno di breve periodo dell’imprendito­ria».

Torniamo alle vocazioni. Quali sono quelle del Sud?

«In questi anni il Sud ha fatto grandi passi avanti nei poli museali che sono cresciuti più che nel resto d’italia. Ripeto: la natura economica dei territori va accompagna­ta non forzata. Solo così gli investimen­ti arrivano. In questo Milano ha espresso un modello».

In quest’ottica Taranto dovrebbe tenere l’ilva o pensare a un’altra vocazione?

«Il premio Nobel Joseph Stiglitz è convinto che dobbiamo lasciare perdere l’industria e passare ai servizi senza fare troppi drammi. Io non lo penso: in un Paese industrial­e come il nostro l’acciaio serve per la nostra autonomia. Qui non ne farei una questione relativa solo a Taranto ma di visione del Paese».

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Aurelio Regina, 56 anni, è stato vicepresid­ente di Confindust­ria e ha ricoperto anche l’incarico di presidente di Confindust­ria Lazio
Cavaliere del Lavoro Aurelio Regina, 56 anni, è stato vicepresid­ente di Confindust­ria e ha ricoperto anche l’incarico di presidente di Confindust­ria Lazio

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